31 maggio 2007

Questioni spinose (segue)

Viaggio nella storia della carità, fino alla sua secolarizzazione/2
di Marco Burini da "Il Foglio" 24 maggio 2007

Nella storia della chiesa, che si sovrappone ma non si esaurisce nella
storia dell'occidente, sono molteplici i modi di declinare il nesso
povertà/carità.
Durante il lungo tramonto dell'impero romano la comunità dei credenti
individua nell'elemosina, già punto di forza della tradizione ebraica,
la forma caritativa per eccellenza. Il trattato di Cipriano "De opere
et de elemosina" getta le basi teologiche di una prassi che si
consoliderà nei secoli successivi: non si tratta tanto di disquisire
sulla liceità delle ricchezze, quanto sul modo di impiegarle. Alcuni,
come Tertulliano e Origene, di fronte al moltiplicarsi di impostori non
esitano a raccomandare prudenza nella distribuzione dei beni. Altra
forma tradizionale di carità è l'incontro domenicale, in cui alla
liturgia si affianca l'elargizione ai poveri. Non due momenti distinti,
in realtà, ma un unico appuntamento, L 'agape", che recupera la
tradizione ebraica del banchetto messianico e la innesta sulla memoria
del mistero pasquale. Gradualmente, la crescita delle città e
l'inurbamento del cristianesimo spinge la chiesa a strutturare in
maniera sempre più articolata il servizio di carità: sorgono ospedali,
orfanatrofi, ospizi per i pellegrini; vengono istituite le
"matricole", uffici di assistenza che si prendono a carico poveri
validi ma senza lavoro e donne senza risorse, soprattutto vedove. Da
Gregorio Magno (590-604) in poi l'esercizio della carità diventa il
collante di un tessuto sociale che si va sfaldando sotto i colpi delle
invasioni barbariche. Le riflessioni di questo Papa sulla ricchezza e
la destinazione universale dei beni sono la sintesi della teologia
patristica sul tema e saranno decisive nella tradizione cristiana
successiva.

Scelte di povertà: monaci e mendicanti
Intanto, alcuni credenti fuggono da città sempre più affollate e
decadenti e si ritirano nel deserto, come fece Gesù prima di iniziare
la predicazione pubblica. Da Antonio a Benedetto, passando per
Martino, Cesario e Cassiano, il monaco si impone come il modello del
cristiano autentico (è il martire di un'epoca senza persecuzioni), che
sceglie per se stesso una vita povera. Moltissimi laici di ogni ceto
sociale vengono contagiati dal rigore di questa scelta esistenziale,
lasciano tutto e seguono le orme dei pionieri. Ben presto il deserto
si popola di uomini e donne desiderosi di praticare la perfezione
evangelica ("Vita vere apostolica") fuori dalle strutture
ecclesiastiche. Ancora una volta si innesca la dialettica
carisma/istituzione, ma la frattura è scongiurata da uomini avveduti
come Pacomio e Basilio che in oriente dettano le regole delle prime
comunità monastiche: pratica della povertà in vista della comu¬nione
dei beni e lavoro manuale per il sostentamento della comunità e dei
poveri. In occidente l'esperienza monastica si stabilizza grazie a
Benedetto e alla sua rego la. Il monastero diventa così un centro di
assistenza per le popolazioni delle campagna, divenuta nel frattempo
il perno della vita economica. "Nel primo medioevo, almeno fino al XII
secolo, i poveri erano essenzialmente i pellegrini da ospitare, i
contadini da sfamare e anche da difendere, orfani e vedove, qualche
sbandato, ma tutti in ambito piuttosto ristretto" (L. Mezzadri). Con la
svolta del XII-XIII secolo, il povero perde i suoi connotati domestici.
Di fronte alle masse di indigenti che minacciano l'equilibrio delle
città, la risposta non viene dal clero, troppo compromesso col potere,
ma dai numerosi movimenti pauperistico-evangelici che fanno della
povertà il loro ideale di vita. Valdo e Francesco, che vengono dalla
nuova classe dei mercanti, vedono nella rinuncia ai beni la condizione
per un'autentica sequela di Cristo ("Christum nudum nudus sequi"); se
il primo giunge a negare il carattere apostolico della chiesa
ufficiale, che ostacola questo ideale, il secondo continua la sua
riforma restando nell'ortodossia. Ma dopo la fase idilliaca dei
fondatori degli ordini mendicanti (francescani e domenicani, a cui
vanno aggiunti elementi riformatori come i canonici regolari, gli
ordini ospedalieri, le confraternite) si apre un dibattito lacerante
sui limiti e le forme della scelta di povertà che spacca i seguaci di
Francesco coinvolgendo il papato, mentre il punto di vista dei
domenicani è espresso da Tommaso d'Aquino, secondo il quale la povertà
non è indispensabile allo stato di perfezione ma riguarda solo quei
religiosi che si obbligano a essa con un voto esplicito.

Sospetto e filantropia
Sul finire del medioevo, la povertà diventa qualcosa di sospetto:
l'onda d'urto di una mendicità sempre più diffusa e insistente, dovuta
a ripetute carestie ed epidemie, apre la strada alla distinzione tra
veri e falsi poveri. Dalla metà del Trecento in poi rivolte, disordini
e furti in numero crescente inducono gli stati a misure poliziesche.
La chiesa si adegua: "La paura delle sommosse, l'ascesa della
borghesia, la valorizzazione della ricchezza come via alle virtù
squalificarono il culto di Francesco a Madonna Povertà" (B. Geremelt).
L'inizio dell'età moderna coincide quindi con una svolta radicale: la
secolarizzazione della carità, che d'ora in poi si chiamerà
assistenza. Nell'ottica umanistico-rinascimentale il povero fa paura:
è una presenza inquietante, una minaccia all'ordine costitutito,
protagonista com'è di disordini e rivolte. I maggiori intellettuali
dell'epoca attaccano il pauperismo e criticano l'uso indiscriminato dei
concetto di "poveri di Cristo". Tommaso Moro ed Erasmo scrivono opere
in tal senso e sulla loro scia Juan Luis Vivés pubblica "De subventione
pauperum" (1526), il manifesto della nuova politica sociale di
controllo: anzitutto divieto della mendicità, quindi centralizzazione
e ospedalizzazione dell'assistenza , fino alla reclusione per gli
incorreggibili che non vogliono lavorare. La chiesa da una parte
rilancia le forme tradizionali di carità, dall'altra da spazio, specie
nello stato pontificio, alle nuove esigenze organizzative. Anche la
riforma protestante sostiene la nuova politica sociale. Per Luterò è
necessario "estirpare ogni mendicità da tutto il mondo cristiano" e
aiutare i poveri meritevoli escludendo vagabondi e stranieri
dall'assistenza organizzata - che comunque non deve superare una certa
soglia ("Basta aiutare i poveri in modo che non muoiano di fame e
freddo"). Sul fronte cattolico, autori come Bellarmino ribadiscono la
legittimità dell'ordine sociale ("Dio vuole che nel mondo ci siano
ricchi e poveri") e insistono sul dovere dell'elemosina. Nel
Settecento, poi, il processo di secolarizzazione dell'assistenza si
perfeziona secondo i dettami dell'illuminismo: la filantropia prende il
posto della carità e in nome di un'umanità "più grande del
cristianesimo" si inneggia al solidarismo, nuova religione sociale (P.
Leroux, L. Bourgeois). La chiesa si sente attaccata da entrambi i lati
(liberalismo e socialismo), si mette sulla difensiva e ripropone il
modello caritativo tradizionale, salvo prendere lentamente coscienza
della svolta epocale in atto e attrezzarsi di conseguenza.

Questione operaia e cattolicesimo sociale
Con l'avvento dell'industrializzazione la questione operaia riscrive
i termini del problema: non si parla più di poveri ma di proletari. Le
spaventose condizioni di vita nei luoghi di lavoro, in cui vengono
sfruttati in maniera massiccia anche donne e bambini, suscitano nel
corpo ecclesiale una febbre caritativa senza precedenti. Nascono
numerosissimi istituti e congregazioni, sia maschili che femminili,
animati da personaggi eccezionali come Giovanni Bosco, Luigi Orione,
Giuseppe Cottolengo, Federico Ozanam. Il corpo ecclesiale è agitato
da una vera e propria febbre caritativa che si manifesta a tutti i
livelli. Donne e uomini, chierici e laici si prodigano per venire
incontro alle situazioni di miseria sfruttamento dei lavoratori. Dal
punto di vista teorico, la neonata Civiltà Cattolica con padre
Taparelli critica in egual misura socialismo e liberalismo proponendo
il ritorno allo schema corporativo medioevale. L'esperimento di
Kolping in Germania, con l'istituzione di associazioni artigiane di
mutuo soccorso, va in questa direzione. Ma è il vescovo di Magonza,
Ketteler, a discernere con più acutezza lo spirito del tempo. La sua
opera "La questione operaia e il cristianesimo" (1864) getta le basi
del cattolicesimo sociale: l'associazionismo operaio, sia pur dentro
uno schema corporativo, ha obiettivi inediti: crescita dei salari
corrispondente alle ore lavorate, aumento dei giorni di riposo,
divieto di impiegare ragazzi e donne incinte. "A partire dal 1869,
Ketteler propone anche la partecipazione degli operai ai profitti della
fabbrica e si mostra disponibile all'intervento dello stato, malgrado
la sua ripulsa verso il totalitarismo burocratico" (Paglia). Il
magistero comincia così a elaborare risposte adeguate , ai problemi
del tempo. E se Pio IX con l'enciclica "Nostris e nobiscum" resta
ancora nel solco della tradizione, ribadendo 16 status quo (i poveri
appartengono "all'ordine naturale e immutabile delle cose") e
rilanciando lo strumento dell'elemosina, il concilio Vaticano I
recepisce gli impulsi del cattolicesimo sociale che fiorisce in
Germania, Francia, Italia. Non a caso la prima redazione del testo
preparatorio sulla questione sociale ("II dovere di alleviare la
miseria dei poveri e degli operai") è affidata a uno stretto
collaboratore di Ketteler, il canonico Moufang. L'incipit del
documento che come tutti gli' altri non vedrà la luce per
l'interruzione del concilio, il 20 settèmbre 1870, dovuta alla guerra
franco-tedesca e all'occupazione di Roma - è emblemàtico: "Noi non
possiamo guardare in silenzio".Chiesa e poveri: eredi di un'eresia

Consapevole dell'eredità ricevuta ( "I poveri li avrete sempre tra voi" vangelo di
Giovanni 12,8), nel corso della storia la chiesa ha sempre
manifestato una predilezione per gli ultimi. E quando l'esercizio della
carità si e lasciato irretire da calcoli e paure, è sempre comparso
sulla scena qualcuno (Antonio, Francesco, Charles de Foucauld) a
incarnare l'ideale evangelico riportando alla giusta tensione il
rapporto carisma/istituzione. A costo di strappi dolorosi, di fughe in
avanti e narcisismi, di eresie comunque da non liquidare in fretta
(l'eresia è l'ombra del dogma, il suo doppio inseparabile). Tuttora la
povertà è un'eresia. Alla lettera, una scelta (sovversiva): una chiesa
povera, dunque aperta a tutti, per la quale non c'è carità senza
giustizia. Ma un'eresia anche in senso lato, cioè un'assurdità da
combattere: da qui il multiforme esercizio della carità e le
riflessioni che lo accompagnano, sistematizzate nella cosiddetta
dottrina sociale della chiesa.
(segue articolo "Aiutare i poveri o imitarli?)

Meraviglie di Parigi (e di Internet)


Di quale monumento si tratta? E' scritto qui: http://www.earthinpictures.com/it/mondo/francia/parigi/l%C2%B4
arco_di_tronfio_-_vista_dalla_torre_eiffel.html :-)

30 maggio 2007

E campioni del mondo o in un mare di guai...

» 2007-05-26 16:42
Clericus Cup ai neocatecumenali
Universita' Lateranense battuta in finale 1- 0 su rigore
(ANSA) - ROMA, 26 MAG - I neocatecumenali del seminario Redemptoris Mater hanno vinto la Clericus Cup, il torneo pontificio del Csi riservato a sacerdoti e seminaristi. Nella finale giocata oggi sul campo della Petriana all'Oratorio di S.Pietro, hanno battuto per 1-0 l'Universita' Lateranense, con un gol su rigore, al 15' del secondo tempo, di Piermarini. Non ha assistito alla finale il Segretario di Stato cardinal Tarcisio Bertone, la cui presenza era stata annunciata.


Ringrazio D.N. per questo contributo e i Pooh per la canzone "Amici per sempre", che ha ispirato il titolo del post

28 maggio 2007

Nazi(onali)sti russi

Mitingi[1].ru

Compagno “Pamjat’”[2]

In piazza Slavjanskaja[3] hanno ricordato Hitler, in piazza Puškin Kadyrov

Nella lotta con la “peste arancione”[4] è comparso un altro alleato del potere – i nazionalisti radicali, casualmente esclusi dalla lista degli “elementi pericolosi”. Sabato gli hanno permesso di tenere due manifestazioni (fissate, anche se non è stato detto ufficialmente, per l’anniversario della nascita del Führer).

In piazza Slavjanskaja si sono radunati sotto l’insegna “In difesa della libertà di scelta”. Gli organizzatori erano ex membri dell’RNE[5] e camerati di Dugin[6], unitisi nel partito “Rus’”[7].

Verso l’una sono giunte in piazza circa duecento persone coi capelli molto corti e gli stivali pesanti. Gli slogan ufficiali della manifestazione erano in tutto e per tutto i soliti: “contro gli abusi dei funzionari” e la “rivoluzione arancione”. Per questi begli scopi sono stati richiamati dal nulla vecchi membri dell’RNE, dell’associazione “Pamjat’” e di altri gruppi estremisti. Alcuni interventi sono stati penosi.

- Il potere ci proibisce di registrare il partito! Questo è anticostituzionale! – invocavano giustizia i rappresentanti del partito “Rus’”.

- Permettete ai russi di fare politica in qualche modo, – ha chiesto dalla tribuna un anziano nazionalista, che si trova adesso ai margini della vita politica.

Il leader dell’“Associazione Nazional-Socialista”[8] Dmitrij Rumjancev ha fatto un’analogia tra il potere russo e Hitler (a vantaggio di quest’ultimo).

- Si ritiene che Hitler volesse assoggettare i russi e fare a pezzi la Russia. Comunque questo lo sta facendo il potere russo. Ma Hitler ha reso potente il proprio paese, – ha dichiarato Rumjancev e si è orgogliosamente definito seguace degli imputati del processo di Norimberga.

- Gloria alla Rus’[9]! – hanno detto dalla tribuna. La folla ha risposto con il saluto nazista. Gli organizzatori hanno promesso: non ci saranno punizioni per questo.

Separato dai giovani si trovava un gruppo di anziani con bandierine di partiti non registrati. “Anche Lei condivide le idee hitleriane?” – ho chiesto a un uomo di aspetto “meridionale”[10]. “Sì!” – ha risposto convinto. Alla fine della manifestazione i “sostenitori” di “Rus’” si sono raccolti attorno a un giovane che pareva sapere il fatto suo. “Riceverete i soldi il 30 presso la sezione” – ha spiegato ai “nazional-socialisti”.

Soldi per cosa? I vecchietti si sono rifiutati di spiegarlo.

In piazza Puškin un’altra parte del campo ultranazionalista esigeva che fosse cambiato nome a via Achmat Kadyrov a Južnoe Butovo[11]. La manifestazione era condotta dai partecipanti alla cosiddetta “Marcia Russa”[12]. C’erano i deputati Dmitrij Rogozin[13] e Nikolaj Kur’janovič[14], i leader del DPNI[15] e dell’“Unione Slava”. Dissensi interni gli impedivano di riunirsi con i nazional-socialisti in piazza Slavjanskaja – ogni “partito” sospetta l’altro di collaborare con il Cremlino.

Gli oratori hanno parlato più chiaramente – della prima guerra cecena e della collaborazione di Kadyrov con i guerriglieri. In un angolo gli attivisti raccoglievano le firme per il cambiamento del nome della via per poi portarle nell’ufficio del sindaco. C’era meno gente (a dire il vero, parte delle teste rasate si era portata là dalla manifestazione precedente). Il saluto nazista era permesso anche qui. Anche i “dissenzienti” venivano rammentati:

- Alla fine piazza Puškin è stata strappata agli arancioni[16] – ha detto qualcuno dalla tribuna.

P.S. Ai “dissenzienti” non è stata solo strappata piazza Puškin, ma sono stati anche “ridotti” i loro diritti. Adesso il potere ha ottenuto ufficialmente il diritto di incarcerare i seguaci di Limonov[17] per estremismo. Misure simili si preparano anche per altri “dissenzienti”: l’AKM[18], il “Fronte Civico Unito”[19] e la sezione di Piter[20] di “Jabloko”[21]

Il’ja Vasjunin

23.04.2007, “Novaja Gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/29/08.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)



[1] Mitingi (dall’inglese meeting) sta per “manifestazioni politiche”.

[2] Il titolo è un gioco di parole. Tovarišč Pamjat’ (compagna Memoria) era invocata nella canzone Tovarišč Pesnja (Compagna Canzone), colonna sonora di uno sceneggiato sovietico. Pamjat’ è anche il nome di un movimento nazionalista e antisemita nato all’epoca della perestrojka.

[3] “Slava”.

[4] L’arancione è il colore degli oppositori dell’ex presidente filo-russo ucraino Janukovič e per estensione di tutti gli oppositori di Putin e dei regimi che lo appoggiano.

[5] Russkoe Nacional’noe Edinstvo (Unità Nazionale Russa), partito neonazista che ha per simbolo una svastica camuffata.

[6] Aleksandr Gel’evič Dugin, studioso russo di idee nazionaliste.

[7] Rus’ è l’antico nome russo della Russia. Il nome moderno è Rossija.

[8] Movimento neonazista che neanche camuffa la propria svastica…

[9] Ma si potrebbe anche intendere “Gloria a Rus’”, cioè al partito “Rus’”, perché in russo gli articoli non esistono…

[10] Cioè caucasico.

[11] “Butovo meridionale”, in pratica il quartiere più meridionale di Mosca.

[12] La manifestazione dei nazionalisti svoltasi il 14 aprile in contemporanea alla “Marcia dei dissenzienti”, durante la quale gli oppositori di Putin hanno subito pestaggi e arresti. Va da se che i nazionalisti hanno potuto agire indisturbati.

[13] Fondatore del partito “Grande Russia”, che sostiene fra l’altro l’impossibile candidatura (non è cittadino russo) del dittatore bielorusso Lukašènka alla presidenza della Russia.

[14] Nikolaj Vladimirovič Kur’janovič, membro del movimento nazional-socialista “Unione Slava”.

[15] Dviženie Protiv Nelegal’noj Immigracii (Movimento Contro l’Immigrazione Illegale), movimento xenofobo.

[16] Gli oppositori di Putin si erano radunati là il 14 aprile, ma erano stati quasi subito caricati dalla polizia.

[17] Eduard Veniaminovič Savenko (Limonov è uno pseudonimo), leader del controverso “Partito Nazional-Bolscevico”.

[18] Avangard Krasnoj Molodëži (Avanguardia della Gioventù Rossa), partito marxista-leninista.

[19] Movimento di opposizione guidato dallo scacchista Garri Kimovič Kasparov.

[20] Nome colloquiale di San Pietroburgo.

[21] Partito di orientamento liberale fondato da Grigorij Alekseevič Javlinskij, Jurij Jur’evič Boldyrëv e Vladimir Petrovič Lukin. Il nome Jabloko (Mela), nasce dalle iniziali dei fondatori: Ja-B-L.

"Ucci, ucci, sento odor di noglobalucci"? Roba da matti...

Gli odori del corpo nuova arma contro i no-global

di Salvo Mazzolini - giovedì 24 maggio 2007, 07:00
da Berlino

Berlino. Saranno gli odori del corpo umano la nuova arma della polizia tedesca contro i contestatori violenti che si sono dati appuntamento ad Heiligendamm, dove dal 6 all’8 giugno si terrà il vertice dei G8. Sudore, fiato, alito e tutto ciò che il nostro corpo emette e può essere percepito dall’olfatto contiene infatti una miniera inesauribile di informazioni preziose per la caccia agli elementi sospetti, più delle impronte digitali, più del sangue o dei dati biometrici. L’importante è immagazzinare preventivamente gli odori corporei per poi affidarli a chi in materia di olfatto ha una sensibilità di gran lunga superiore a quella dell’uomo, e cioè i cani.
Ci penseranno loro, i cani appositamente addestrati, una volta fiutato il campione olfattivo, a stabilire se gli odori degli elementi sospetti sono rintracciabili sul luogo di un attentato o, viceversa, a quale campione olfattivo sono collegabili gli odori presenti sul luogo del delitto.
È esattamente ciò che il Bka, la polizia criminale tedesca, sta facendo per prevenire disordini e violenze in occasione del vertice. Nelle ultime settimane gli agenti del Bka hanno visitato una quarantina di centri sociali ad Amburgo, Berlino e Brema, considerati covi della contestazione violenta no-global, costringendo gli elementi giudicati pericolosi a sottoporsi al prelievo degli odori tramite un tubetto metallico da stringere tra le mani per alcuni minuti e un rotolo fatto di una sostanza ovattata che viene strusciato lungo il corpo. Poi il tutto viene rinchiuso in contenitori di vetro sotto vuoto.
Ma non basta. Durante le perquisizioni, la polizia ha sequestrato insieme a schedari, cellulari e computer anche magliette, calzini e fazzoletti per meglio definire il profilo olfattivo degli elementi a rischio. Anche se è la prima volta che la polizia tedesca ricorre alla raccolta degli odori corporei, l’arma olfattiva non è nuova. È una delle tante diavolerie escogitate dalla Stasi, la polizia segreta della Germania comunista, che se ne serviva soprattutto per tenere sotto controllo i dissidenti.
Quando cadde il muro di Berlino, non solo si scoprì che nella Germania Est alberghi, uffici e persino abitazioni private erano infestate da microspie e telecamere nascoste, ma nei sotterranei della Stasi furono trovati milioni di campioni olfattivi. Il regime voleva sapere tutto dei suoi sudditi, anche che odore avevano.

Un accostamento, quello tra i metodi usati dalla Stasi e quelli usati oggi dalla polizia, che ha contribuito a scatenare accese polemiche sulla legittimità della raccolta degli odori. Il ministro dell’Interno Wolfgang Schäuble difende a spada tratta il ricorso alla schedatura olfattiva poiché un criminale può evitare di lasciare impronte o macchie di sangue sul luogo del delitto ma non i propri odori. Quindi uno strumento determinante anche contro terroristi, criminali comuni, maniaci sessuali.
E sulla stessa linea è anche la Procura generale della Repubblica, che ha autorizzato i prelievi olfattivi, sul cui numero ci sono dati discordanti. Secondo il quotidiano Hamburger Morgenpost sarebbero una trentina, molti di meno secondo la polizia.
Ma molte sono anche le voci contrarie. L’ex-presidente del Bundestag Wolfgang Thierse, parlamentare socialdemocratico dell’ex-Germania Est, definisce disgustoso il fatto di adottare gli stessi metodi della Stasi: «Non si può al tempo stesso criticare la Stasi e poi copiarne i metodi».
Per il leader dei liberali, Guido Westerwelle, l’ossessione della sicurezza sta provocando danni gravissimi alla democrazia: «L’operato della polizia costituisce un passo avanti allarmante verso uno Stato che si sente autorizzato a schedare tutto di tutti, la distanza tra le pupille, il gruppo sanguigno, il patrimonio cromosomico, e ora anche il sudore e altre secrezioni cutanee».
Ugualmente preoccupato, ma con toni meno drammatici, il portavoce dei Verdi per i diritti umani, Volker Beck: «Presto ai processi ci sarà un nuovo testimone: il cane».

26 maggio 2007

Time is ticking out

IL TEMPO CHE NON ABBIAMO

=================

Dicono che tutti i giorni dobbiamo mangiare una mela per il ferro e una banana per il potassio. Anche un'arancia per la vitamina C e una tazza di tè verde senza zucchero, per prevenire il diabete.

Tutti i giorni dobbiamo bere due litri d'acqua (sí, e poi pisciarli, che richiede il doppio del tempo che hai perso in berteli).

Tutti i giorni bisogna mangiare un Actimel o uno yogurt per avere gli "L. Casei Immunitas", che nessuno sa bene che cosa cavolo sono, peró sembra che se non ti ingoi per lo meno un milione e mezzo di questi batteri tutti i giorni, inizi a vedere sfocato.

Ogni giorno un'aspirina, per prevenire l'infarto, e un bicchiere di vino rosso, sempre contro l'infarto. E un altro di bianco, per il sistema nervoso. E uno di birra, che giá non mi ricordo per che cosa era.

Se li bevi tutti insieme, ti puó venire un'emorragia cerebrale, peró non ti preoccupare perché non te ne renderai neanche conto.

Tutti i giorni bisogna mangiare fibra. Molta, moltissima fibra, finché riesci a cagare un maglione.

Si devono fare tra i 4 e 6 pasti quotidiani, leggeri, senza dimenticare di masticare 100 volte ogni boccone.

Facendo i calcoli, solo in mangiare se ne vanno 5 ore.

Ah, e dopo ogni pranzo bisogna lavarsi i denti, ossia: dopo l'Actimel e la fibra lavati i denti, dopo la mela i denti, dopo il banano i denti... e cosí via finché ti rimangono dei denti in bocca, senza dimenticarti di usare il filo interdentale, massaggiare le gengive, risciacquarti con Listerine...

Meglio ampliare il bagno e metterci il lettore CD, perché tra l'acqua, le fibre e i denti, ci passerai varie ore lí dentro.

Bisogna dormire otto ore e lavorare altre otto, piú le 5 necessarie per mangiare = 21. Te ne rimangono 3, sempre che non ci sia traffico. Secondo le statistiche, vediamo la tele per tre ore al giorno...

Giá, ma non si puó, perché tutti i giorni bisogna camminare almeno mezz'ora (per esperienza: dopo 15 minuti torna indietro, se no la mezz'ora diventa una).

Bisogna mantenere le amicizie perché sono come le piante, bisogna innaffiarle tutti i giorni. E anche quando vai in vacanza, suppongo.

Inoltre, bisogna tenersi informati, e leggere per lo meno due giornali e un paio di articoli di rivista, per una lettura critica.

Ah!, si deve fare sesso tutti i giorni, peró senza cadere nella routine: bisogna essere innovatori, creativi, e rinnovare la seduzione. Tutto questo ha bisogno di tempo. E senza parlare del sesso tantrico (in proposito ti ricordo che bisogna lavarsi i denti dopo che si mangia qualsiasi cosa!).

Bisogna anche avere il tempo di scopar per terra, lavare i piatti, i panni, e non parliamo se hai un cane o ... dei FIGLI???

Insomma, per farla breve, i conti mi danno 29 ore al giorno. La unica possibilitá che mi viene in mente é fare varie cose contemporaneamente; per esempio: ti fai la doccia con acqua fredda e con la bocca aperta cosí ti bevi i due litri d'acqua. Mentre esci dal bagno con lo spazzolino in bocca fai l'amore (tantrico) al compagno/a, che nel frattempo guarda la tele e ti racconta, mentre tu lavi anche per terra.

Ti é rimasta una mano libera? Chiama i tuoi amici! E i tuoi! Bevi il vino (dopo aver chiamato i tuoi ne avrai bisogno). Il BioPuritas con la mela te lo puó dare il tuo compagno/a, mentre si mangia la banana con l'Actimel, e domani fate cambio.

E meno male che siamo cresciuti, se no dovremmo trangugiare un ALPINITO Extra Calcio tutti i giorni.

Uuuuf!

Peró se ti rimangono due minuti liberi, invia questo messaggio ai tuoi amici (che bisogna innaffiare come una pianta), fallo mentre mangi una cucchiaiata di Total Magnesiano, che fa un mondo di bene.

Adesso ti lascio, perché tra lo yogurt, la mela, la birra, il primo litro d'acqua e il terzo pasto con fibra della giornata, giá non so piú cosa sto facendo, sento peró che devo andare urgentemente al cesso. Così ne approfitto per lavarmi i denti....

Un caro saluto uomini e donne moderni!


Ringrazio A.N. per questo contributo e i disciolti Cranberries per avermi fornito un titolo azzeccato ("Il tempo sta ticchettando via")

Beata la famiglia...

Beata la famiglia il cui Dio è il Signore e che cammina alla Sua presenza.

Beata la famiglia fondata sull'amore e che dall'amore fa scaturire atteggiamenti, parole, gesti e decisioni.

Beata la famiglia aperta alla vita, che accoglie i figli come un dono, valorizza la presenza degli anziani, è sensibile ai poveri e ai sofferenti.

Beata la famiglia che prega insieme per lodare il Signore, per affidarGli preoccupazioni e speranze.

Beata la famiglia che vive i propri legami nella libertà, preoccupandosi della crescita dei figli, ma rispettando la loro personalità.

Beata la famiglia che trova tempo per dialogare, svagarsi e fare festa insieme.

Beata la famiglia che non è schiava della televisione e sa scegliere programmi costruttivi.

Beata la famiglia in cui i contrasti non sono un dramma, ma una palestra per crescere nel rispetto, nella benevolenza e nel perdono vicendevole.

Beata la famiglia dove regna la pace al suo interno e con tutti: in lei mette radice la pace del mondo.

Beata la famiglia che è aperta agli altri e si impegna per la costruzione di un mondo più umano.

Beata la famiglia che, pur non ritrovandosi in queste beatitudini, decide che è possibile percorrerne almeno qualcuna.

Beata la famiglia in cui vivere è gioia, allontanarsi è nostalgia, tornare è festa.

InCamminoConMaria


Parole di Pace e di Speranza


Ringrazio D.N. per questo contributo

24 maggio 2007

Non ho parole

Attacco gay alla Vergine Maria

E' successo giovedì 17 maggio 2007, durante la settimana in cui la venerata immagine della Patrona di Bologna, la Beata Vergine di San Luca, scende dal Santuario sull'omonimo colle e viene posta nella centralissima Cattedrale. Lì, DA SECOLI, riceve l'omaggio di tutti i bolognesi, indipendentemente dalla loro fede o ideologia.

Un corteo aggressivo con bandiere organizzato da gay e lesbiche parte alle 19 dalla vicina Piazza Maggiore.

Non è un'iniziativa di qualche psicopatico, ci sono esponenti politici: dalle deputate di Ds e Prc Katia Zanotti e Titti De Simone, al consiglieri comunali Sergio Lo Giudice (Ds), Roberto Panzacchi (Verdi) e Valerio Monteventi (Prc).

Si portano davanti alla Cattedrale, tra la folla di fedeli che entrano ed escono in continuazione.

Alcuni si buttano a aterra, per impedire l'ingresso in Chiesa.

Altri innalzano cartelli: «Bagnasco vergogna». Tiziano Loreti, segretario PRC, ironizza: «Vergogna è quasi affettuoso, si fa appello alla parte migliore dell´altro perché controlli la peggiore. E’ una espressione religiosa. Bagnasco non deve offendersi».

Urlano poi insulti contro il coraggioso Vescovo ausiliare, Mons. Vecchi. Grida violente, schiamazzi, minacce, sempre contro la Chiesa.

Qualcuno dalla cattedrale si spazientisce, grida loro di andarsene.

«Vergognatevi» urla una buona signora. E´ la molla che fa scattare la rabbia: «Fascisti, fascisti!» inveiscono dal corteo. Si alzano minacciosi: anche le iene diventano lupi davanti agli agnelli.

Si chiudono per precauzione le porte della Cattedrale.

Questa è la preparazione della manifestazione di giugno di Roma.

Questo è il dialogo possibile con il laicismo. Giacobbe, Roccella, Pezzotta e altri "buonisti", sono avvertiti.

Lo scontro sarà peggiore che durante gli anni totalitarismo liberale unitario, quando, nel 1876, un migliaio di anticlericali assaltò il III Congresso Cattolico Italiano a Bologna, nella chiesa della SS.Trinità: allora, nemmeno il becero massone Carducci, avrebbe immaginato di offendere la Madonna.


UNA CITTA' OFFESA

di Carlo Caffarra*

L'incivile gazzarra avvenuta davanti al portone della Cattedrale, spalancato per permettere ai fedeli l'accesso per pregare davanti alla venerata immagine della Madonna di San Luca, resterà come una macchia che non si cancella nella storia luminosa e commovente dell'amore di Bologna verso la sua Patrona. La città è stata offesa.

E' stata offesa nel suo sentimento religioso profondo; un sentimento che davanti all'immagine della Beata Vergine sempre sa accantonare divisioni politiche e disuguaglianze sociali, ricomponendo il consorzio umano nella più profonda unità dell'amore orante a Maria.

E' stata offesa anche nella sua tradizione civile che ha sempre visto nella Madonna di San Luca il suo più alto vessillo identitario; una tradizione mai interrotta in 531 anni di discese della Venerata Immagine dal Colle della Guardia.

E' stata offesa nella sua virtuosa e permanente pratica della tolleranza e dell'ordine civico. Ed è tanto più grave che tale incivile manifestazione, nella quale sono state esibite persino scritte al limite del blasfemo, abbia avuto per protagonisti anche due deputati al Parlamento nazionale e alcuni esponenti politici locali.

Come Vescovo di questa città, ritengo doveroso denunciare che simili episodi sono segno evidente di un degrado civico prima d'ora qui sconosciuto, e richiamare le autorità cui compete a far rispettare quelle regole di convivenza che la città e la Nazione si sono date per il bene comune.

Invito i fedeli e tutti coloro che tengono tra gli affetti più preziosi quello per la Madonna di San Luca a pregare perché il Signore conforti chi - autorità ecclesiastiche e semplici fedeli - ieri è stato oggetto di dileggio e di offese, e perché Egli si lasci incontrare con il suo perdono, sulla via della conversione del cuore, da chi ha agito forse senza sapere quello che stava facendo.

* Arcivescovo Metropolita di Bologna


Ringrazio D.N. per questo contributo

Cristiana Dobner

La Ragione in clausura : critica letteraria, traduce da 10 lingue, ama Agatha Christie e la cultura della differenza e non sopporta la pornografia del sentimentalismo. Suor Cristiana Dobner

Di Andrea Monda da Il Foglio 21 aprile 2007

Da femminista posso dirti che il pro­blema delle femministe è che mol­te di loro devono ancora diventare don­ne "pensanti al femminile", cioè con una propria autonomia di immagini e sensibilità, liberandosi da un modo di pensare tipicamente maschile e rima­nendo aperte a un sentire più autenti­co, personale, profondo". "Ma tu sei femminista?".

La domanda sorge spontanea, visto che sto parlando con una monaca di clausura. In genere questa attività non è cosa semplice, data la vita di silenzio e solitudine a cui sono tenute le mona­che di clausura, ma è ancora più diffì­cile se la monaca in questione è suor Cristiana Dobnen saggista, critica let­teraria, traduttrice e filosofa (un breve ma intenso ritratto lo si trova nel bel li­bro-inchiesta "Clausura" di Espedita Fisher appena pubblicato da Castelvecchi), non è facile trovare un attimo per un colloquio tra un articolo per l'Osservatore Romano, uno per Avveni­re e le lezioni di greco-biblico da dare alle novizie. Quando l'ho contattata via mail mi ha detto che lei usa Skype: "E' più rapido di Messenger e della posta elettronica. Ogni tanto c'è qualche in­termittenza ma la connessione miglio­rerà. La mia priora sa che lo uso per la­voro e si fida di me". Ed eccomi qui a parlare con suor Cristiana via Skype, in videoconferenza. Sul monitor mi ap­pare un bel volto di una donna di circa 60 anni incorniciato dal velo carmelita­no a sua volta incorniciato dalle cuffie bianche che funzionano da telefono. E' grintosa, suor Cristiana, nel volto e nei ragionamenti, non ci pensa un attimo a dire la sua su Benedetto XVI ("Rispet­to al predecessore si è perso qualcosa in comunicatività, d'altra parte ammi­ro la sua intelligenza, il rigore teologi­co, la finezza filosofica: avevamo biso­gno di tutte queste virtù") e sul femminismo, specie quello italiano: Se si intende femminista chi in Italia a partire dal '68 ha visto e vissuto il femmini­smo solo come opposizione all'uomo, come libero amore e aborto, allora non sono una femminista. Ma il femmini­smo non è un atteggiamento di mera ri­vendicazione. Nel mio saggio 'Fare Diotima fare Teresa?' ho scritto che proprio 'la mia identità di cristiana e carmelitana mi rende possibile affron­tare l'identità della donna e il suo luo­go nella storia e nella società, svilup­pando un discorso per e tralasciando ogni forma di discorso contro' e citavo una bella affermazione della teologa Cettina Militello per cui 'femminista' è chi 'presta attenzione al femminile e alla donna a partire dal suo originario e imprescindibile orizzonte vitale"'.

Le cito Flannery O'Connor che di­ceva di scrivere "non benché, ma proprio in quanto cattolica" e la Dobner dimostra di conoscere bene la lettera­tura americana: "Non solo la O'Con­nor, ma conosco e amo particolarmen­te Whitman, Carver, Hemingway e poi Emily Dickinson. Quest'ultima è gran­de e stimolante per una monaca di clausura, anche perché lei si recluse negli ultimi anni della sua vita. Ma forse i suoi erano motivi 'insufficien­ti'. Noi non siamo 'recluse', non ci con­sideriamo còsi. Noi non ci mettiamo sotto chiave. Noi vogliamo stare a con­tatto con una presenza, stare con Qualcuno. Stiamo in un perimetro ma non chiuse dentro il perimetro".

Questa suora femminista: è una sorta di vulcano in eruzione, conoscitrice e traduttrice di una decine di lingue e au­trice di diversi saggi l'ultimo dei quali dedicato a Etty Hillesum, "Pagine mi­stiche", che ha offerto al lettore italia­no l'aspetto più squisitamente religioso (ed espunto dalla precedente edizione Adelphi) dei diari della geniale ebrea olandese morta a 29 anni in un campo di concentramento nazista.

"In effetti in Italia la Hillesum è sta­ta in parte censurata - dice - e penso che questo sia accaduto perché non è stata compresa, ma considerata soltan­to sotto l'aspetto di una giovane eman­cipata, mentre era il vuoto che la spin­geva a esperienze sessuali continue e diverse che, come ha ammesso lei stes­sa, l'hanno lacerata e distrutta".

Le chiedo se esiste ancora oggi in Ita­lia uno "steccato", dall'antico sapore ri­sorgimentale, tra cultura laica e cattolica e la vedo annuire attraverso la webcam, anche se la sua risposta scivola ancora sui problemi che vive all'inter­no della sua esistenza claustrale: "Co­me mai i libri di autori cristiani come Chesterton o come Santa Teresa si tro­vano, a Roma, solo dalle parte del Vati­cano e non altrove? Perché questo ac­cade? Esigenze di mercato? Impossibi­lità di veicolare, senza un filtro preciso, testi per certi aspetti 'antichi' o troppo impegnativi? Lo vedo anche con le no­vizie, se non spiego loro Teresa d'Avila e Giovanni della Croce, rimangono col­pite solo a livello affettivo. Poi, quando scendo a fondo e 'ragiono', motivo e spiego, nasce la vera cattura, la vera fa­scinazione. C'è bisogno di tempo, molto tempo, se vuoi scendere nel profondo. Il pericolo che io vedo è quello di una persona che viva solo la dimensione della emotività e dell'affettività, e que­sto non funziona, ci vuole una persona 'integra', capace di vivere, in armonia tra fede e ragione. Una persona che ab­bia cura del suo cuore, e uso questo ter­mine nel senso biblico, cioè della tota­lità della persona. Penso che abbia dav­vero ragione Flannery O'Connor quan­do parlava della pornografia del senti­mentalismo, lei lo diceva parlando del­la letteratura ma è un discorso che fila anche nella vita e nella vita carmelita­na. Una persona solo emotiva rimane immatura e impedisce di crescere a tut­ta la comunità. Una carmelitana deve invece tendere a diventare una perso­na armonizzata, integra: sentire e vole­re e intendere tutto insieme".

Le chiedo di parlarmi di lei. "Sono nata a Trieste, sessant'anni fa, da una famiglia mitteleuropea, di origine au­striaca, ma proveniente da Praga e dal­la Germania, con rami slavi e trisavolo turco. Noi siamo i Dobner, la famiglia che Magris ha definito 'quelli degli oro­logi' nel suo libro 'La mostra'. Ho una sorella di due anni più piccola, pittrice, ritrattista e docente universitaria al conservatorio, pianista, con tre figli: un primo violinista, un architetto e un filo­sofo-pianista. Io suono il pianoforte. Da piccola, essendo la prima nipote avevo tutti addosso, nonni, zie e zii che mi hanno fatto leggere molto precocemen­te: mi ricordo le favole, in tedesco, e poi tutta la letteratura infantile e d'avven­tura. Scoprii molto presto i classici; mio padre mi leggeva Dickens e in fretta ho imparato a leggere, puntando a farlo nella lingua originale perché volevo as­saporare la bellezza originale del testo. In famiglia erano tutti amanti delle lin­gue straniere e poliglotti e ricordo che fui rimproverata da mio padre che mi aveva visto leggere un autore inglese tradotto".

Il fatto è che la giovane Cristiana ha sempre voluto tenere "più lingue in più scarpe", con due grandi passioni, la classicità e la letteratura russa: "Do­po i classici, Omero, Virgilio, i tragici greci, Shakespeare, Goethe, ma anche Thomas Marni, Isaac Singer e la lette­ratura jiddish, ho amato molto la lette­ratura russa. Dostoevsky, Tolstoj... Ri­cordo molto bene quando lessi 'II dottor Zivago': quando fu stampato ero molto giovane e lo lessi nella splendi­da melodia della lingua russa. E mi piace anche il cinema russo, in partico­lare Andrej Tarkovsky, ogni tanto mi sono vista dei film anche all'interno del Carmelo, e poi andavo a suo tempo ai cineforum. Ovviamente Bergman, ma anche qualche italiano, come Olmi e i Taviani, vorrei vedere 'La masseria dell'allodole' perché il romanzo mi è piaciuto molto. Ma anche gli inglesi, il grande Padre Brown di Chesterton".

Ma non c'è contraddizione tra la tua scelta esperienziale e oblativa e la let­tura di libri così basati sul puro razioci­nio come i gialli della Christie? "Nessu­na contraddizione. E' proprio Chester­ton con il suo genio a dimostrare la per­fetta conciliazione tra fede e ragione. Non si può e non si deve scindere fede e ragione, le due cose vanno coniugate insieme, il 'puro raziocinio' sostiene in­fatti la scelta di vita. La.fede non è qualcosa di vago ma va pensata, ordina­ta, purificata, così come la ragione, pro­prio come ha detto Ratzinger dialogan­do con Habermas. Non è un caso che nella storia millenaria della chiesa i monasteri siano sempre stati collegati alla cultura e, aggiungo io, alla donna.

Torniamo alla sua vita giovanile: "Mi chiamavano Bucherwurm, verme del libro, in italiano si direbbe 'topo di biblioteca', ma ho avuto anch'io la mia gioventù, molto 'fisica': le mie estati passavano fra lunghe nuotate, escur­sioni montane e viaggi. Per la musica, sono indecisa tra Mozart e Bach. Il Don Giovanni diretto alla Scala da Mu­ti è sublime. StravinsM, Messiaen e Preisner, e la Gubaidulina come com­positrice donna".

Come avvenne la scelta per la vita di clausura? "A ventidue anni mi trovavo a Washington DC a studiare filosofia e lingue con grande interesse per la filo­sofia pensata 'al femminile' (e con at­tenzione alla cultura ebraica, uno dei perni del mio pensare e studiare, in particolare la figura Lèvinas) quando la vocazione maturò. Chiesi al mio pa­dre spirituale, un gesuita, e mi consi­gliò, una volta terminati gli studi, di ri­tornare in Europa. Torno e a venticin­que anni entro al Carmelo di Legnano. Ora invece mi trovo a Concenedo, dove siamo in quindici, tutte italiane, di di­versa età, c'è chi ha cinquanta/sessan­ta anni di Carmelo e chi è entrato da pochi mesi. E io non sono l'unica suora tecnologica, una mia consorella è for­midabile con le potenzialità grafiche dell'informatica".

Concenedo è una piccola frazione di Barzio, a mille metri d'altitudine nella Valsassina, in provincia di Lecco, è un luogo squisitamente manzoniano (la fa­miglia Manzoni proviene proprio da Barzio), ma senza essere la monaca di Monza, suor Cristiana al tempo stesso non mi nasconde una certa durezza nel­l'impatto con la realtà del Carmelo. "Una durezza non proprio disorientan­te, ma ri-orientante. Avevo studiato an­che in Spagna e avevo letto molto san Giovanni della Croce e santa Teresa d'Avila e quindi in parte sapevo a cosa andavo incontro; però l'impatto fu co­munque spiazzante, perché i miei inte­ressi culturali dovettero subire un rio­rientamento nel senso di un 'congela­mento' e il riferimento alla Parola ac­quisì una dimensione monastica» non più laica. Da quel momento la Parola di Dio è stata sempre al centro della mia vita e della mia vita culturale e tutto ri­passa sempre da lì. Questo ho trovato al Carmelo. Non avevo più quindi un rap­porto diretto con la cultura dominante ma tutto venne e veniva e viene riassor­bito attraverso la Parola. Un versetto biblico esprime meglio quello che vo­glio dire: Giosuè 1,8 che dice il centro della regola del Carmelo: 'Non si allon­tani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e notte, perche tu cerchi di agire secondo quanto vi è scritto'. L'originale ebraico per 'meditare' fa riferimento al tubare del­la colomba. Io, in quanto carmelitana, medito, tubo con la Bellezza della Pa­rola, e con la Bellezza delle parole del mondo, siano esse musica, letteratura, poesia, pittura... (ricordo quando an­davo in tutti i musei di tutte le città che ho visitato, consumando tutto il fondo dei jeans, sedendomi per terra per la stanchezza e per assaporare a lungo qualche opera più significativa). La Bellezza è la parola di Dio, bello è la persona che vive la Parola".

Chiedo a suor Cristiana di commen­tare la recente omelia "sulle donne" di padre Cantalamessa, il predicatore del Papa, molto apprezzata anche dalla femminista Luisa Muraro. "Bene ha fat­to padre Cantalamessa a criticare il femminismo alla Simone De Beauvoir e bene ha fatto la Muraro nell'approva-re tale critica. Del resto non poteva fa­re diversamente: la Muraro è persona molto aperta e rispettosa, una donna pensante che ha riflettuto a lungo sulla donna nella pratica politica, cioè nella concretezza della storia ed è, soprattut­to, una sostenitrice come me della cul­tura della differenza, per cui ha elimi­nato il problema dell'opposizione uo­mo-donna a favore della difesa della identità femminile. In altri modi e mo­menti la stessa cosa hanno fatto Edith Stein che non opponeva uomo a donna ma li pensava uno di fronte all'altro e Maria Zambrano quando ha parlato di un sapere dell'anima, che realizzasse una conciliazione dei due opposti, il momento poetico e quello filosofico. Purtroppo questa cultura della diffe­renza non è ancora molto conosciuta".

Su questa difficoltà suor Cristiana si mostra un po' preoccupata: "II proble­ma è che ci sono, anche tra le femmini­ste, donne pensanti e donne non pen­santi, per usare una terminologia del cardinale Martini che parlava appunto di una distinzione non tra credenti e non credenti ma tra pensanti e non pensanti. Il cardinale voleva sottolineare vivono lasciandosi trasportare senza interrogarsi, senza pensare veramente, e così devo constatare che ci sono mol­te donne, anche tra le femministe, non pensanti. In particolare mi riferisco proprio al fatto della cultura della dif­ferenza, un problema spesso disatteso dal molte femministe. Stimo molto per­sone come la Muraro ma anche come Paola Ricci Sandoni e Lucetta Scaraffia, anche se non so, queste ultime, in quale misura aderiscano effettivamen­te al pensiero della differenza o svilup­pino invece altri percorsi analoghi. Senza dubbio si tratta di donne che pensano e conducono notevoli studi e anche avvicinamenti fra donne per procedere in questo senso". Cosa ne pensa una suora di clausura del Family day? "Il Family day è qual­cosa che avviene 'a valle'. Spero non cada nel rischio di limitarsi ad essere una mera parata. Penso che il fonda­mento di un atteggiamento di attenzio­ne alla famiglia dovrebbe essere più acuto, articolato e profondo. Proprio perché la famiglia è, oggi più che mai, sotto attacco. Mi pare infatti che nella società ci sia una mania, una patologia del sesso; si pensa troppo al sesso, sen­za pensare alla costruttività dell'amo­re. Il problema è quindi anche quello dell'educazione dei giovani. Ho letto che ogni diciannove secondi in Inter­net viene messo on line un clip o video pornografico... Che cosa nasce da una cultura di questo tipo? Il recupero, di valori come pudore, castità, può realiz­zarsi solo se questi valori vengono vis­suti, solo così questi valori vengono ri­scoperti. Certamente poi si deve anche intervenire sul clima sociale, creando anche ambienti giovani e sani, rispon­denti alle esigenze di giovani che vo­gliano vivere il Vangelo. La situazione del resto è preoccupante: penso ai film, video, cartelloni pubblicitari, tutti de­gradanti per l'uomo e per la donna, perché finiscono per considerare gli uomini solo come merci. Quindi da una parte occorre un lavoro 'a monte', più capillare, che consiste essenzialmente nel vivere in modo serio e sereno la propria vita personale e familiare, dal­l'altra anche una pratica altrettanto se­ria e concreta della vita politica, socia­le". Suor Cristiana mi fa un cenno, la discussione è finita, deve andare.




Ringrazio A.N. per questo contributo