31 gennaio 2008

Il pane degli angeli

I mai visti: Il pane degli angeli

(20 dicembre 2007 - 3 febbraio 2008)

Si è rinnovato anche questo anno l'ormai consueto appuntamento con la mostra natalizia de "I mai visti", una selezione di opere abitualmente nascoste alla vista del pubblico, poiché conservate nei depositi degli Uffizi. Il tema scelto per questa settima edizione è il sacrificio eucaristico, argomento teologico pertinente alle festività natalizie, oltre che educativo. Un evento nuovo pensato con l'auspicio che da tali scelte possano scaturire coscienze mature e meno allineate all'imperante volgarità culturale ed intellettuale, alimentata dall'appiattimento dei gusti e dall'abuso di concetti scontati.

Anche questo anno il Polo Museale Fiorentino e gli Amici degli Uffizi hanno riconfermato il loro regalo di Natale alla città di Firenze, l'appuntamento a cui ormai siamo tutti abituati e a cui non è possibile mancare: I mai visti, l'esposizione che ogni anno ci presenta un gruppo di opere solitamente invisibili al pubblico, perché chiuse nei ricchissimi depositi della Galleria degli Uffizi.

Il titolo dell'esposizione in corso è Il pane degli angeli, denominazione che di primo acchito potrebbe suscitare domande e curiosità sul tema che connota questa settima edizione de I mai visti, e non essere correttamente interpretata.

Che cosa ha voluto dire Antonio Natali, curatore della mostra e direttore della Galleria degli Uffizi, con questo titolo?

Sicuramente non si pone questa domanda chi ha partecipato alla veglia della vigilia di Natale, dove nel Prefazio, ossia la prima parte della Preghiera eucaristica, il sacerdote recita: «È veramente giusto rendere grazie a te, Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo, per il Mistero della Vergine Madre. Dall'antico avversario venne la rovina, dal grembo verginale della figlia di Sion è germinato colui che ci nutre con il pane degli angeli ed è scaturita per tutto il genere umano la salvezza e la pace. La grazia che Eva ci tolse ci è ridonata in Maria. In lei, madre di tutti gli uomini, la maternità redenta dal peccato e dalla morte, si apre al dono della vita nuova. Dove abbondò la colpa, sovrabbonda la tua misericordia in Cristo nostro Signore».

Non sono state scelte, dunque, opere illustranti la Natività o l'Epifania, temi natalizi, per eccellenza, ma un tema teologico, che si lega comunque al tempo del Natale tanto da essere proposto nel Prefazio che abbiamo ora riportato.

La confusione, che la maggior parte degli italiani hanno nell'interpretare e distinguere correttamente i concetti di laicismo e laicità ha, infatti, portato a una sempre maggiore estraneità, dei giovani in particolar modo, nei confronti degli eventi biblici e dei concetti teologici, così che il rifiuto della fede è andato di pari passo con l'ignoranza, e di conseguenza con un diffuso analfabetismo delle immagini, ossia un'incomprensione profonda di ciò che un artista ha inteso comunicare attraverso la sua opera.

Di ciò è pienamente consapevole chi si occupa di storia dell'arte e chi si prende cura del nostro patrimonio artistico. Come potrebbero costoro abbracciare le politiche di chi rifiuta le radici cristiane dell'Europa e di chi ha diffuso l'idea che essere laici corrisponde in sostanza a una condizione di ateismo e di conseguenza ad un allontanamento da sé e dalla vita pubblica di qualsivoglia aspetto (concetto, atto o prodotto) che abbia a che fare con la sfera religiosa? Come ha affermato con forza Cristina Acidini, Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino, se così fosse e si volesse, dovremmo svuotare la metà degli Uffizi delle sue opere.

È stato pensato, dunque, che il tema di questo anno dovesse essere gradito e al tempo stesso educativo, esemplificato in un percorso dove le opere fossero in grado di rispondere a domande quali "Chi è colui che ci nutre con il pane degli angeli?" e "Che cos'è il pane degli angeli?".

Da parte mia, essendo oltre che storica dell'arte anche insegnante nelle scuole superiori, non posso che appoggiare la scelta fatta, consapevole che i nostri figli, che interpretano oggi, per fare un esempio, la colomba simbolo dello Spirito Santo come la colomba della pace o una Fuga in Egitto come una donna con un bambino in braccio in groppa a un asino e un uomo anziano al fianco, sono coloro che dovranno valorizzare e prendersi cura del patrimonio artistico di cui sono eredi.

Pienamente condivisibile è, dunque, l'auspicio di Antonio Natali, ossia che la scelta di determinati soggetti e contenuti, sebbene meno umanamente seducenti rispetto ad altre culture, possa contribuire a far nascere «coscienze mature e meno allineate».

Il percorso espositivo ripercorre l'itinerario della redenzione, iniziato con le vicende narrate nell'Antico Testamento: la Creazione di Adamo, raffigurata in un dipinto dalle splendide tonalità blu di Jacopo da Empoli, il Peccato originale (pittore fiorentino del XVI secolo), la Cacciata dal Paradiso terrestre (Giovanni da San Giovanni), il Sacrificio di Isacco, prefigurazione del sacrificio del figlio di Dio sulla croce, la Caduta della manna (Fabrizio Boschi), pane degli angeli visto anch'esso come prefigurazione di un evento novotestamentario, ossia il sacrificio di Cristo come dono eucaristico del proprio corpo all'umanità.

La seconda sezione ci fa entrare nel Nuovo Testamento attraverso la figura di Maria, raffigurata nell'episodio dell'Annunciazione, dove con il suo "sì" Dio si fa carne nel ventre di una vergine in vista del riscatto di tutti gli uomini. Come Maria è "nuova Eva", così Cristo è "nuovo Adamo": dai progenitori derivò il peccato, dalla Vergine e Gesù la redenzione.

Numerose sono in questa sezione le Madonne col Bambino esposte, dove le posture evocano il destino finale dei protagonisti.

Si passerà, quindi, all'evento centrale della storia della salvezza, ossia la "Passione", iniziata con l'episodio dell'Ultima cena (mirabile è l'arazzo che raffigura questo evento eseguito su disegno di Alessandro Allori e restaurato per l'occasione), fino a giungere alla morte di Cristo in croce, vicende illustrate dalle opere di Carl Loth, Luca Giordano, Lorenzo Monaco, ecc., e preludio del tratto finale della vicenda, la resurrezione (Cristofano Allori) e la redenzione.

L'ultima sezione è dedicata all'assunto fondamentale della fede cristiana: l'eucaristia. Nelle opere esposte il corpo di Cristo è offerto alla vista dello spettatore come corpo eucaristico, ossia come segno di quel sacrificio salvifico del figlio di Dio che si rinnova quotidianamente durante ogni messa attraverso la Chiesa. Cristo, secondo la definizione dei grande esegeti, è il "pane del cielo", "pane dell'altare", "pane degli angeli".

Info:
I mai vistiGalleria degli Uffizi - Sala delle Reali Poste
Firenze 20 dicembre 2007 - 3 febbraio 2008
Feriale e festivo ore: 10.00 - 17.00Lunedì chiuso
Informazioni tel. 055 2388742
Ingresso libero
http://www.ilpanedegliangeli.it/


30 gennaio 2008

Putin Hood prende ai ricchi per dare ai poveri? Ma de che?!?

Ma i suoi soldi vivono

La storia della JUKOS: gli amici del presidente “hanno preso tutto” e l’hanno spartito fra loro

La JUKOS non c’è più. E’ stata esclusa dal registro unico delle persone giuridiche e le sue azioni non sono più quotate nelle borse. Sono rimaste ancora delle stazioni di servizio giallo-verdi sparse per il paese, ma i nuovi proprietari indubbiamente le ridipingeranno presto dei loro colori corporativi e ci incolleranno i loro loghi.

Se si conta dal 3 luglio 2003, data dell’arresto di Platon Lebedev[1], dall’annientamento della compagnia per mano degli agenti del fisco, degli agenti di polizia, dei procuratori, dei giudici e altra gente sono passati qualcosa meno di 4 anni e 133 giorni. In questo tempo la JUKOS è stata conseguentemente decapitata, smembrata, venduta a pezzi e finita.

La storia della JUKOS è la versione moderna della dottrina popolare in Russia “prendere tutto e spartire”. In questo caso è visibile al meglio cosa significhi “prendere” e soprattutto in quali proporzioni si usa spartire adesso.

Prima dell’inizio dell’attacco alla JUKOS il suo capitale consisteva in oltre 20 miliardi di dollari. Secondo gli esperti il valore della Rosneft’ prima dell’acquisizione della Juganskneftegaz[2] non raggiungeva i 5 miliardi. In meno di tre anni attraverso varie trattative e altre operazioni alla compagnia di Stato sono passate praticamente tutte le attività di estrazione e raffinazione della JUKOS e anche la parte del leone delle sue stazioni di servizio. Il valore di mercato della Rosneft’ assomma oggi a più di 90 miliardi di dollari. E’ la più grande compagnia petrolifera del paese. Solo di ricavo netto dalla liquidazione della JUKOS la compagnia, secondo le proprie stima, ha ricevuto più di 6 miliardi di dollari. Il suo consiglio di amministrazione è diretto dal vice capo dell’amministrazione presidenziale Igor’ Sečin, ma una parte significativa delle esportazioni è gestita dall’impresa commerciale Gunvor di un altro amico di Putin – il sig. Timčenko[3].

In poche parole, le voci sul fatto che la JUKOS sia stata tolta agli oligarchi[4] per essere data al popolo sono molto esagerati.

Al popolo, fra l’altro, è pure capitato qualcosa. Durante la liquidazione della compagnia alle casse statali sono stati assegnati 585 miliardi di rubli (più di 23 miliardi di dollari al cambio attuale), che la compagnia, secondo gli uomini del fisco e i giudici, doveva allo stato. Con questi soldi sarà formato il capitale di base della corporazione statale per lo sviluppo del ŽKCh[5], a cui è affidato il compito di finanziare le ristrutturazioni delle abitazioni e la distribuzione del vecchio fondo per le abitazioni. Cosa certamente buona, solo che i soldi non saranno suddivisi tra i cittadini che hanno necessità di migliorare le proprie condizioni abitative. I miliardi andranno alle TSŽ[6], alle ŽSK[7] e ad altre organizzazioni che amministrano le proprietà condominiali. E questo non direttamente, ma passando attraverso funzionari regionali e municipali.

Un’altra voce di spesa dei ricavi aggiuntivi delle casse statali dovuti alla liquidazione della JUKOS è l’aumento delle pensioni di quegli stessi 300 rubli[8], che in ogni caso avrebbe avuto luogo durante la campagna elettorale.

L’unica cosa che una certa parte dell’elettorato ha ottenuto alla fin fine è la soddisfazione morale derivante dal fatto che lo stato ha eliminato l’oligarchia. E non del tutto, a sentire l’ultimo intervento del presidente.

Aleksej Poluchin
capo redattore della sezione economia della “Novaja gazeta”

26.11.2007, “Novaja Gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/90/01.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)



[1] Platon Leonidovič Lebedev, membro influente del consiglio di amministrazione della JUKOS, che di fatto ne teneva le fila dopo l’arresto di Chodorkovskij.

[2] Una delle imprese principali del gruppo JUKOS.

[3] Amicizia che risale al tempo in cui l’uomo d’affari Gennadij Nikolaevič Timčenko era un dirigente del KGB…

[4] I potenti miliardari russi come, per esempio, Roman Abramovič.

[5] Žiliščno-Kommunal’noe Chozjajstvo (Risorse per le Abitazioni e le Infrastrutture).

[6] Tovariščestva sobstvennikov žil’ja (Associazioni dei Proprietari di Abitazioni).

[7] Žiliščno-Stroitelnye Kooperativy (Cooperative per la Costruzione di Abitazioni).

[8] Circa 8 euro.

28 gennaio 2008

Thinking Blogger Awards

m1979 mi ha nominato (e al primo posto!) per il premio "Thinking Blogger Awards" lanciato da The Thinking Blog. E' un meme che si basa su 5 regole:

1- bisogna linkare il sito che ha iniziato la catena.
2- bisogna essere stati linkati da qualcun altro che ha ricevuto prima il premio.
3- bisogna nominare il sito che ti ha nominato.
4- bisogna indicare 5 blog che hanno la capacità di farti pensare.

Ma quali sono i 5 blog che mi fanno pensare? E' una selezione che non vorrei fare (perché vorrei indicarne molti di più), ma bisogna farla:

E un pacchetto di Lucky Strike
Acme del pensiero
Parlo io
La vita leggera
365 albe 364 tramonti

27 gennaio 2008

Giorno della Memoria

55.a Giornata Mondiale dei malati di lebbra

Il Miele della Solidarietà contro la lebbra

Il Miele della Solidarietà contro la lebbra

2008-01-22 15:20:43

L'Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau (L'AIFO) sotto l'alto Patronato della Presidenza della Repubblica e del Patrocinio del Segretariato Sociale RAI, sarà presente domenica 27 Gennaio 2008 con oltre 3000 volontari nelle maggiori piazze italiane. Grazie all'aiuto di numerosi volontari, verrà distribuito il 'Miele della Solidarietà' provienente da progetti del circuito del Commercio Equo e solidale, così oltre a sostenere i progetti in Brasile, verranno appoggiati anche i piccoli produttori del Sud del Mondo. L'AIFO sarà promotore della 55° Giornata Mondiale dei malati di lebbra, svolgendo una campagna di sensibilizzazione, educazione e informazione che avrà termine domenica 27 Gennaio nella ricorrenza istituita dal padre fondatore Raoul Follereau. Per maggiori informazioni sull'origine del miele e in quale piazze italiane verrà distribuito è possibile consultare il sito internet: http://www.aifo.it.

(Fonte: http://www.aifo.it)

25 gennaio 2008

Allarme?


UN PONTE PER...


Cantelmi


«Il presidente dell'Arcigay ascolti i miei pazienti»
pubblicato su Avvenire del 10.01.2008, pag. 10

di Tonino Cantelmi*

Avvenire_logo


prof. Tonino Cantelmi Cantelmi dopo l'attacco di «Liberazione»: mai parlato di terapia riparativa Ma la neutralità del terapeuta è utopia

LEGGI e COMMENTA
l'articolo scritto dal prof. Tonino Cantelmi
«Il presidente dell'Arcigay ascolti i miei pazienti»




Difficile non condividere quanto recentemente affer­mato dal presidente nazionale dell'Ordine degli psi­cologi Giuseppe Luigi Palma, che invoca il rispetto per i codici valoriali dei pazienti che consultano uno psi­coterapeuta e pone un altolà a discriminazioni di ogni ge­nere. Difficile però leggere questo a senso unico e titolare, come fa Liberazione, «l'Ordine degli psicologi condanna Cantelmi» (e invece fa solo un comunicato che ribadisce al­cuni principi a mio parere indiscutibili). Al di là dell'attac­co strumentale e dal tono chiaramente intimidatorio, non avrei difficoltà neanche a sottoscrivere quello che afferma Mancuso, presidente dell'Arcigay, che in un altro prece­dente editoriale terminava anche con un passaggio omele­tico in cui ricordava a me la misericordia di Dio.
Il fatto: u­na presunta inchiesta di Liberazione riportava la vicenda di un giornalista che mi chiede, sotto mentite spoglie, aiuto e che poi strilla che quel medico cattolico e clericale lo vole­va 'curare'. Inchiesta smentita nel dettaglio, grossolana, incompleta, strumentale. Da ciò nasce il caso, montato ad arte: esistono in Italia reti clandestine (davvero?) cattoliche di terapeuti che fanno terapie forzate ai gay. È inutile smen­tire ancora, si rischia di essere ripetitivi. Intanto riparte il tam tam mediatico con blog, siti, agenzie, ecc…
Rinuncio a ri­stabilire la verità, ma raccolgo l'invito di Mancuso ad una discussione (pacata e serena mi auguro). E allora: quali so­no i temi in gioco? Anche se ritengo che discussioni più tec­niche vadano rimandate nelle sedi appropriate (quelle del dibattito scientifico), provo a semplificare, sperando che nessuno voglia strumentalizzare quello che dico.
Primo: nessuna terapia 'riparativa'. Da tempo sostengo che il termine 'riparativa' sia ideologico, come quello 'af­fermativa'. Esiste la terapia, secondo modelli convalidati scientificamente, ed esiste la domanda di psicoterapia. E­siste il lavoro di decodifica del terapeuta ed esiste il consenso del paziente. Si può discutere di questo?
Secondo: nessuna diagnosi di omosessualità. Questo non vuol dire non prendere in esame quella che l'ICD-X (cioè il sistema di classificazione ufficiale dell'Organizzazione Mon­diale della Sanità) chiama 'sessualità egodistonica' e la comprende nella categoria 'Psychological and behaviou­ral disorders associated with sexual development and o­rientation'. Attenzione! L'ICD-X (il più ufficiale e recente sistema di classificazione) chiarisce che ciò vale per tutti: e­terosessuali ed omosessuali e specifica che «l'orientamen­to sessuale da solo non riguarda questo disturbo». Sotto­scrivo e credo che questo possa mettere a tacere ogni spe­culazione. Nessuna omofobia. Vogliamo mettere in discus­sione l'ICD-X? Si può fare, attiene alla ricerca scientifica, ma al momento questa è la posizione ufficiale dell'OMS.
Terzo: rispetto dei codici valoriali del paziente. Ottimo, ma anche questo vale per tutti. Che debbo rispondere alla let­tera di denuncia che proprio oggi mi giunge da un uomo della Basilicata che si dice 'violentato' perché il suo tera­peuta lo pressa per la separazione coniugale che invece con­trasta con i suoi valori più profondi? Ne vogliamo parlare? Davvero nessuno ha mai preso in esame le lamentele di pa­zienti che aderiscono con convinzione a movimenti eccle­siali e che sono profondamente turbati da terapeuti che non rispettano il loro codice valoriale?
Quarto: la presunta neutralità del terapeuta. Innumerevo­li studi metodologici ed epistemologici dimostrano che il terapeuta non è neutrale. Sostenerne la neutralità è sem­plicemente antiscientifico. E allora: non è forse più etico (ma direi semplicemente onesto) dichiarare le premesse antropologiche ed i presupposti epistemologici che sono dietro ogni modello terapeutico? Questo mi sembra un pun­to su cui debba essere promossa in Italia una ricerca au­tentica.
E infine: è vero, ho invitato Mancuso a passare con me una settimana, nel mio studio, per verificare se sia stato giusto prestarsi ad una operazione mediatica di linciaggio così, a mio parere, ingiusta. Rinnovo l'invito e alzo il tiro: potrà ac­cedere, con il permesso dei pazienti, all'agenda degli ap­puntamenti, allo scambio di mail, alle innumerevoli te­lefonate, agli sguardi ed alle sofferenze dei pazienti stessi, insomma a tutto il lavoro svolto.
* presidente Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (AIPPC)



Ringrazio B.R. per questo contributo

23 gennaio 2008

Immagini di un grande spettacolo

Ne ho già parlato qui, ma adesso vi farò vedere qualcosa... Con i miei commenti.


"...Alessandra è l'unica "professionista" (un giorno sentiremo parlare di lei sul serio): al momento dell'entrata danza alla grande come sa, prima che giunga Sara fingendo di cantare..."


"...e soprattutto sei cretini in calzamaglia e parrucca bionda "alla Carrà"..."


Chissà perché non ho parlato di questo nel mio post (ma l'ho scritto di fretta e in modo emotivo). Il gruppo dei "Soliti Noti" declama l'"Inno alla vita" di Madre Teresa di Calcutta. Un momento molto emozionante e un'occasione per essere uniti come non mai...


"...Alessandra accetta benevolmente di essere ridicolizzata all'inizio (...), ma va in scena anche nelle sue vere vesti con tre balletti che le consentono di mettere in mostra la sua bravura. Per lei si suona anche dal vivo, si merita il meglio..."


"...Nel "Dracula" di Aldo, Giovanni e Giacomo il nostro Giacomo è un Nico spettacolare, così come Gabriele II è grande nell'impersonare un Nosferatu siculo..."


"...e Sara nell'interpretare la svampitissima "sensitiva" moglie di Nico..."


Il talento di Massimo per le parti femminili si metterà in luce (...) quando con me e Lorenzo metterà in scena uno sketch dei "fratelli d'Italia" Conti-Panariello-Pieraccioni (con me nelle vesti di un professore e Lorenzo e Massimo in quelle di padre e madre di tre suoi terribili allievi).


"..."La scuola": attori e attrici della troupe vanno in scena vestiti come scolaretti e angosciano il "maestro" Gabriele con trovate micidiali..."


"...Gabriele II fa poi morire dal ridere il pubblico (e gli altri attori) mimando il demenziale "dettato" del maestro..."


"...nelle vesti della panarelliana "Signora Italia" Massimo (a san Bartolomeo c'è addirittura chi lo preferisce all'originale) racconta un indimenticabile viaggio a Lourdes "miracolo compreso"..."


I nostri tecnici, i nostri assistenti, il nostro pubblico...


"..."La creazione": (...) Gabriele II è un Adamo vestito alla Fred Flintstone con tanto di clava..."


"...da una sua costola l'Onnipotente (Giacomo) plasma una Sara-Eva con un abitino mozzafiato in finta pelle di leopardo..."


"...Il serpente (il sottoscritto chiuso in un sacco a pelo) convince Adamo a togliersi la voglia di frutta mangiando la famosa mela..."


"...Giacomo con un neon tondo acceso sulla testa apparirà per punirlo a dovere..."


"...Gran finale con un balletto tratto da "Grease". Per sanare l'eterno squilibrio tra uomini e donne della troupe, Massimo si veste da donna (tanto c'è abituato...) e io pure..."


"...Poi fortunatamente la cosa finisce. Gabriele si trasforma in presentatore e ci fa applaudire dal pubblico..."


"...Anche stavolta è un'ovazione!"



Ringrazio Elisa e R.C. per queste immagini, senza cui questo post non sarebbe semplicemente esistito. Ringrazio Gabriele per la collaborazione. E ringrazio un errore provvidenziale, che mi ha costretto a cancellare il post, ma mi ha permesso di rifarlo più bello di prima...



Quando i blogger si uniscono

Valerio lancia l'idea di una community di blogger per darsi una mano, condividere esperienze e lanciare iniziative comuni. Io ho aderito (vedi banner) e chi vuol fare come me contatti quel che resta del blog.

22 gennaio 2008

La cultura dominata?

Ciclo di incontri "La Cultura Dominata".
Venerdì 25 Gennaio, ore 21.00,
presso la sala della chiesa di San Marino I Papa,
via Veio 37, zona San Giovanni, Roma;
incontro sul tema:

"L'ALTRA FACCIA DELLA MODERNITA'.
L'OCCULTISMO, DALLA MASSONERIA ALLA NEW AGE"

Interverrà:
-Gianluca Marletta, storico e saggista.

Tema dell'incontro:
"Dall'occultismo massonico alla Teosofia, dallo Spiritismo all'Ufologia, la
modernità non è solo quella della tecnica bruta e delle 'magnifiche sorti'. C'è
una modernità parallela, segreta e poco conosciuta, complessa e a tratti
inquietante, ma spesso fondamentale per capire la storia degli ultimi secoli e
l'evoluzione del nostro tempo".
Link: http://www.identitaeuropea.org/iniziative/dominata08_03.html

A cura di:
- Ass. Cult. "Identità Europea area Lazio" (www.identitaeuropea.org)
- Casa Editrice "Il Cerchio" (www.ilcerchio.it)
- Libreria Caffè Letterario "Aquisgrana" (www.aquisgrana.org)



Ringrazio A.N. per questo contributo

Schedature Microsoft

SIAMO TUTTI SCHEDATI...........LA MICROSOFT SA CHI SIETE!!!


Il sistema Microsoft scopre chi siete e vi cataloga.Il programma è ben
nascosto all'interno degli strumenti Microsoft, ma il trucco è stato svelato
da un ex dipendente.Seguite le istruzioni e rimarrete sbalorditi dal
risultato!


1) Dal Menu di start/Programmi/Accessori/Calcolatrice
2) Sulla Calcolatrice cliccare: Visualizza/Scientifica
3) Digitare 12237792
4) Ora cliccate sull'opzione Hex (esadecimale in alto a sinistra)
5) Nella finestra dei numeri, comparirà la vostra identificazione personale!



Ringrazio P.C. per questo contributo

21 gennaio 2008

Šamanov, la Russia e il Caucaso

Livellano il Caucaso

Recensione all’intervista di un tipico “uomo delle forze federali” sull’unico approccio imperiale a repubbliche molto diverse

L’eroe della Russia[1], l’amico del colonnello Budanov[2], l’ex governatore della regione di Ul’janovsk[3], il generale di corpo d’armata Šamanov, tornato al ministero della Difesa ha rilasciato recentemente un’intervista alle “Moskovskie Novosti”[4].

Penso che a molti sarebbe parso strano veder comparire sulla carta stampata un’intervista, mettiamo, a Kaltenbrunner[5] sulla questione dei rapporti tra la RFT e lo stato di Israele. In un’intervista dello stesso generale Šamanov sulle questioni del Caucaso, a quanto pare, non c’è niente – anche se è difficile rispondere quale esercito sia stato più efficace: quello tedesco nella soluzione della questione ebraica o il generale Šamanov nella soluzione di quella cecena. In ogni caso, quando vedi in Cecenia un villaggio di cui sono rimaste solo le fondamenta, 1800 fondamenta o 1500, come Staryj Ačchoj o Bamut, senza guardare si può dire: “Qui c’è stato Šamanov”. Gli altri generali non risolvevano la questione in modo così definitivo.

Ecco, a ben vedere, il corrispondente avrebbe potuto anche chiedere al generale se questa soluzione definitiva della questione cecena sia stata efficace o se, al contrario, abbia creato alcune complicazioni (a dirla più semplice, un bambino ceceno di sei anni di età di solito dice: crescerò e ucciderò i russi).

O chiedere: è vero che il suo favorito Budanov quando Šamanov era governatore della regione di Ul’janovsk stava in prigione come in albergo? Che i ristoranti cittadini rivaleggiavano per il diritto di portare il cibo a Budanov?

Macché. Hanno chiesto al nostro esperto nella soluzione definitiva della questione cecena della situazione del Caucaso. E naturalmente hanno ottenuto come risposta che “la situazione resterà preoccupante come minimo fino a metà del prossimo anno. Questo è legato alla prossima campagna elettorale negli USA”.

E che pensavate? I terroristi nascono da Bamut distrutta fino alle fondamenta? No, sono gli americani che tramano.

L’intervista a Šamanov è curiosa perché riproduce con purezza cristallina il tipico corredo federale di idee sul Caucaso. Ecco come la pensano anche al Cremlino. Ecco su che basi prendono decisioni.

In cosa consiste il corredo a parte il fatto che “gli americani tramano”?

Per prima cosa si parla del Caucaso settentrionale in generale.

“Oggi nel Caucaso settentrionale c’è un livello d’istruzione terribilmente basso”, – dice Šamanov. “Le elite delle repubbliche del Caucaso settentrionale si formano con l’aiuto di logiche tribali”. “Nelle repubbliche caucasiche si sviluppano furiosamente le comunità religiose”.

Certo, capisco, quando in una risposta di un minuto risuona la parola “Caucaso”, è qualcosa di comune a tutte le repubbliche. Ma in un’intervista dettagliata la parola “Caucaso” è come il primo piccolo suono di parola vuota, perché le repubbliche sono diverse e vanno in diverse direzioni e proprio confrontando una repubblica con l’altra si può vedere la differenza e quello che si deve o non si deve fare.

Ecco due casi, tanto per fare un confronto.

Circa un mese fa nel villaggio di Gonoda nella provincia di Gunib nella repubblica del Daghestan i militanti hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco nove persone. Gonoda è il villaggio natale del capo del ministero degli Interni del Daghestan Adil’gerej Magomedtagirov. Gli uccisi, ragazzi giovani, avevano notato una macchina che passava per il villaggio e che pareva sospetta. Quando la macchina è tornata indietro, le hanno bloccato la strada. I militanti hanno chiesto a lungo ai ragazzi di farli passare. Quando hanno visto che si avvicinava il capo della polizia locale, li hanno uccisi tutti a colpi d’arma da fuoco e se ne sono andati.

Letteralmente pochi giorni dopo nel villaggio di Starye Ačaluki, in Inguscezia, è avvenuto un caso del tutto diverso. All’ingresso del villaggio c’era un posto di blocco. Gli uomini al posto di blocco esaminavano ogni macchina e gli occupanti di una macchina hanno rifiutato di farsi esaminare. Ecominciata una lite. Gli uomini delle forze federali sono stati picchiati con violenza, sono stati caricati su dei camion, volevano dargli fuoco. Con grande sforzo la polizia locale, che è accorsa in qualche modo, ha convinto la folla furibonda a non uccidere e a non bruciare.

Non è difficile notare, che queste due storie non hanno avuto luogo semplicemente in due repubbliche diverse – hanno avuto luogo in due mondi diversi. In Daghestan la gente ha tentato di fermare i militanti. In Inguscezia la gente senza bisogno di militanti ha distrutto un posto di blocco. Non sono due repubbliche diverse. Sono due società diverse.

Perché ci sono queste due società diverse? Posso spiegare anche questo. Recentemente al presidente della repubblica del Daghestan Much Aliev è giunta una lettera da Sergokala[6]. Dal padre di un ragazzo arrestato come wahhabita[7]. Il padre scriveva che il ragazzo è questo e quello, è un campione e allena dei campioni e lo hanno preso del tutto senza motivo e promise di farsene carico. Il presidente dette la lettera al capo del ministero degli Interni: “Sistema la faccenda”. Questi sistemò la faccenda e il ragazzo fu rilasciato su cauzione prima del processo. (Ora notiamo questo: il capo del ministero degli Interni del Daghestan non è affatto un amante dei militanti. Negli ultimi due anni hanno cercato di farlo saltare in aria due volte, di avere il cuore tenero è più facile sospettare un coccodrillo che Adil’gerej.) Ed ecco che così lo rilasciarono. E qui accorse l’FSB[8]: “Ma come avete potuto! Ma noi sappiamo che è il capo principale di una grande banda!”.

Forse l’FSB dice la verità? Non penso. Perché, se proprio Adil’gerej, più del quale nessuno nella repubblica odia i wahhabiti, considera possibile fare uno sconto, allora in realtà non salta un’operazione, ma semplicemente delle nuove stellette.

Questo succede in Daghestan. Ma in Inguscezia? Dite un po’ dove e quando avete sentito che il presidente dell’Inguscezia, quando sparano sulla folla davanti ai suoi occhi, quando poi lasciano lì una granata pure davanti agli occhi della folla e fanno una foto con questa granata, – quando avete sentito dire che il presidente dell’Inguscezia abbia dubitato che quelli su cui era stato sparato fossero militanti?

Certo, non solo per questo in Daghestan e in Inguscezia la situazione è diversa. Ma anche per questo.

Questo spregiativo generalizzato “Caucaso” è il segno caratteristico dell’atteggiamento moscovita da signorotti imperiali. Sono colonie, che differenza c’è? E questo atteggiamento da signorotti deriva dal non voler notare che, per una strana coincidenza, più il presidente di una repubblica è una marionetta dell’FSB, meno ordine c’è in quella repubblica. Ma se pensa al proprio popolo e non a come accontentare i cekisti[9], allora per qualche motivo ci sono anche meno militanti.

C’è anche un altro eterno motivo – la “corruzione caucasica”.

“In molte repubbliche sono cambiati i leader, ma questo ha portato solo alla sostituzione (e neanche dappertutto) di certi clan con altri – ma in nessun caso alla fine di un sistema”, – si lamenta Šamanov.
Che vuol dire, che non è cambiato niente?

In Kabardino-Balkaria, mettiamo, c’era il presidente Kokov; sotto la sua presidenza c’è stato uno scandalo quando il potere centrale ha mandato soldi per una funivia sull’Elbrus[10] e i soldi sono stati presi e sono spariti. (“Lei sa dove sono questi soldi”, – ha detto a Kokov con grande dignità il ministro competente, il consigliere più vicino alle autorità della Balkaria Kuanš, che pure aveva a che fare con quei soldi.) E adesso là c’è il presidente Arsen Kanokov, che con i propri soldi, non trovando quelli spariti, ha costruito quella funivia.

Come di può dire che non c’è differenza? No, non mi piace che Kanokov proibisca le manifestazioni dei balkari, ma la differenza è enorme. Come minimo per quanto riguarda la funivia.

Oppure prendiamo due presidenti: Batdyev della Karačaevo-Čerkesia e Mamsurov dell’Ossezia Settentrionale. Mustafa Batdyev è un ex consigliere di Čubajs[11], perfino un liberale, probabilmente. Non appena è giunto al potere nella repubblica, hanno cominciato a spartirsi gli affari e se li sono spartiti al punto che nella dacia del cognato del presidente hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco uno di quelli che si erano spartiti una fabbrica e sei suoi amici.

Ma Mamsurov non è un liberale. E’ di origine contadina[12]. Dietro a lui ci sono sia la vodka, sia i “samovar” per la raffinazione del petrolio. Non appena l’hanno attaccato i Kolesnikov[13] e il resto della procura e hanno preso a incarcerare le persone più vicine a lui, non ha permesso al presidente di sciogliere le “Madri di Beslan”[14] non le ha sciolte egli stesso. “Non è poco?” – dirà qualche liberale. Oltre che con le “Madri” non bisogna anche agire nei confronti di un regime criminale?

E’ facile dire “è poco”, quando stai a Mosca o addirittura a Londra. Ma provateci là – al posto del presidente di una repubblica che sa di dolore, petrolio e vodka. Ricordando che i tuoi figli erano a Beslan. Sapendo, che appena aprì un po’ più la bocca, nessuno ti aiuta più.

Non posso in alcun modo paragonare il presidente Batdyev al presidente Mamsurov. Non posso in alcun modo raccoglierli sotto la stessa definizione di “gente corrotta del Caucaso”. Euna faccenda strana. A me, una giornalista liberale, starebbe bene dare addosso alle autorità, ma non posso accomunare i diversi presidenti del Caucaso. Ma il fedele Šamanov può.

E infine la principale particolarità del pensiero federale, come appare nell’intervista a Šamanov. Questa – neanche una parola sugli uomini della federazione. Sono là, gente del posto con armi automatiche, corrotti. Da loro, dalla gente del posto, ci sono i clan (che in qualche modo permettono di sopravvivere in mancanza di uno stato), le vendette sanguinose (che in qualche modo si compiono, quando non c’è un sistema giudiziario) e la corruzione, con cui, è chiaro, le persone intelligenti del Cremlino non hanno nulla a che fare.

E questa è la principale falsità, perché il pesce puzza dalla testa e il Caucaso dal Cremlino.

In Daghestan è successo un caso del genere: è stato designato il nuovo presidente, Aliev, e questi ha designato il nuovo ministro dell’economia. Il nuovo ministro dell’economia è andato a Mosca. A chiedere soldi. “E dov’è?” – gli hanno chiesto al ministero specifico. “Dov’è cosa?” – “Quello che c’è sempre stato”. Il nuovo ministro è andato via e ha comprato una torta in un negozio. L’ha portata e ha detto: “Da noi adesso è una nuova era. Noi adesso siamo onesti”. Al ministero hanno pianto dalle risate.

E i soldi? I soldi il programma presidenziale – la costruzione di infrastrutture a Botlich[15] – non li ha ricevuti per molti mesi

Ecco ancora un altro caso. Ho già detto che il capo del ministero degli Interni del Daghestan è il bersaglio preferito degli attentati. Negli ultimi due anni hanno attentato due volte alla sua vita. La prima volta per attirarlo hanno fatto saltare in aria il procuratore della provincia di Bujnaksk, Bitar Bitarov. Adil’gerej è giunto nella provincia e hanno cercato di far saltare in aria anche lui. L’esplosione è avvenuta un po’ troppo presto: è stata aperta una voragine dove c’era la macchina di scorta e il capo del ministero degli Interni si è lanciato fuori dalla macchina, si è seduto dietro una ruota e si è messo a rispondere al fuoco. Ha dovuto rispondere al fuoco a lungo e non c’era modo di chiamare aiuto: le comunicazioni in quel posto non funzionavano.

La seconda volta per attirarlo hanno ucciso il figlio del più caro amico di Adil’gerej. E’ successo a mezzanotte, Adil’gerej è andato a piedi sul luogo dell’omicidio, per strada gli ha dato un passaggio un parente. Giungono sul posto, stanno nel cortile, conversano. In quel momento per strada c’è un’esplosione. “Probabilmente è la mia macchina”, – dice tristemente il capo del ministero degli Interni. Ed era precisamente la sua macchina, che aveva richiesto con urgenza.

Ma ecco: gli esecutori di entrambi gli attentati sono stati arrestati. E poi sono stati rilasciati. I primi dagli inquirenti, i secondi dal tribunale. Non prenderò in considerazione quelli che hanno compiuto l’attentato: hanno i conti aperti con Adil’gerej. Ma dal fatto che sono stati rilasciati traggo due conclusioni: a) in questi attentati i wahhabiti sono stati usati come killer a basso costo; b) i mandanti non erano wahhabiti.

E ora chiedo una cosa. Signori, potete immaginarvi in Cina o in Tanzania una cosa del genere: i militanti sparano contro il ministro della polizia e questi militanti, arrestati e accusati sulla base di testimonianze vengono rilasciati? Non si tratta di democrazia. Non si tratta di totalitarismo. Semplicemente non esiste una cosa del genere.

E poi i generali Šamanov ci racconteranno che il numero di wahhabiti aumenta perché è legato alle elezioni negli USA.

Julija Latynina[16]
osservatrice della “Novaja gazeta”

22.11.2007, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2007/89/19.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)



[1] Titolo conferitogli da Putin.

[2] Jurij Dmitirievič Budanov, colonnello russo condannato per crimini di guerra in Cecenia.

[3] Città della Russia centrale, dove è nato Lenin.

[4] “Notizie Moscovite”, giornale russo d’informazione.

[5] Ernst Kaltenbrunner, numero due delle SS, giustiziato dopo il processo di Norimberga.

[6] Capoluogo di provincia del Daghestan.

[7] Il wahhabismo è una corrente islamica fondamentalista, ma per “wahhabiti” in Russia si intendono i terroristi islamici in generale…

[8] Federal’naja Služba Besopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), i servizi segreti russi.

[9] Cekisti erano detti i membri della prima polizia politica sovietica (la ČK – Črezvyčajnaja Komissija po bor’be s kontrrevoljucej i sabotažem, “Commissione Straordinaria per la lotta con la controrivoluzione e il sabotaggio – il cui spelling russo è če-ka) e per estensione vengono chiamati così gli agenti segreti.

[10] La più alta vetta del Caucaso.

[11] Anatolij Borisovič Čubajs, uomo politico che guidò le privatizzazioni sotto El’cin.

[12] Letteralmente “viene dal vomere”.

[13] Vladimir Kolesnikov, vice procuratore generale.

[14] Il comitato delle madri dei bambini uccisi a Beslan.

[15] Villaggio ai confini con la Cecenia.

[16] Julija Leonidovna Latynina, giornalista e scrittrice.

Sydney 2008

Chi vuol dare una mano a questi ragazzi?

http://rosroris.iespana.es/

Sapienza II

A FAVORE DEI CATTIVI MAESTRI
Note per una discussione senza freni sulla mancata visita del Papa a La Sapienza
di Walter Tocci

Da tanto tempo auspicavo che il Parlamento dedicasse una seduta solenne all’università italiana. È accaduto nel modo peggiore. Un’intera sessione è stata dedicata con massimo impegno di tutti i leader a contestare una lettera che un gruppo di professori aveva rivolto al proprio rettore sulla inopportunità di affidare al papa la lectio magistralis per l’inaugurazione dell’anno accademico. Lo stesso ceto politico si è poi turbato e almeno in parte ha espresso solidarietà a Mastella, del quale i giornali hanno raccontato cose immonde che suggerirebbero ad una persona normale il silenzio infinito, anche se non fossero dei reati.
La critica dei professori al proprio rettore si può condividere o meno ma era del tutto legittima e non c’entra nulla la questione posta al centro della polemica di questi giorni del confronto di opinioni e ancora meno la liberà di espressione, perché, come si sa, quella cerimonia non è affatto un momento di dibattito, ma una scelta di rappresentazione dell’ateneo con un discorso di alto profilo culturale, si tratta di una scelta del corpo accademico, una decisione apodittica per la quale non vi sono regole nè criteri oggettivi ed naturale quindi che sia esposta ad una possibile contestazione all’interno di quell’organismo. A chi dovevano avanzarla quella critica i professori se non al proprio rettore? Oppure si vuole sostenere che non avevano diritto di criticarlo perché c’era di mezzo il papa? Cioè in altri termini, di fronte ad un invito tanto solenne si deve sospendere la dialettica interna all’ateneo? E per quali altri autorità varrebbe questo principio sospensivo? Insomma mi sembrano del tutto infondati gli argomenti che pure hanno vinto nel senso comune dei politici, dei giornalisti e anche di molti professori. Non solo, per questi legittimissimi atti quei professori sono messi all’indice come cattivi maestri o peggio ancora come responsabili della crisi morale del paese.
Sulla lettera dei professori si è innestata la solita goliardia e la rappresentazione estremistica del problema di una parte minoritaria degli studenti, come è sempre successo all’università, anzi forse la novità è che tutto sia accaduto in tono minore e comunque senza le violenze che purtroppo hanno contraddistinto altri momenti ben più drammatici dell’ateneo romano. La mancanza di un problema di ordine pubblico d’altro canto è stata certificata dal ministro dell’interno, secondo il quale non vi erano impedimenti di sicurezza per la visita papale.
Su tutto ciò si è montato uno dei quei teatrini politico-mediatici che ormai almeno una volta a settimana tengono impegnata la pubblicistica nazionale, quasi sempre su dibattiti tanto carichi di simboli quanto vuoti di sostanza. In questa furia mediatica si è particolarmente specializzata la Chiesa cattolica, che nel giro di una settimana ha occupato la scena televisiva per ben due volte, prima rimbrottando la città di Roma ma lasciando intendere che poteva essere perdonata dai suoi peccati se avesse finanziato gli ospedali cattolici (nessuno degli editorialisti laici che si è
stracciato le vesti per la vicenda dell’università ha notato la commistione tra sacro e profano di quel discorso papale), poi cogliendo l’occasione della querelle universitaria per dare sfogo alle corde del vittimismo cattolico che da secoli costituisce la sua formidabile arma propagandistica.
Come tutte le ventate mediatiche anche questa è stata un’occasione persa, fiumi d’inchiostro e ore di televisione per dirci dell’importanza del confronto di opinioni e della libertà di espressione, principi sacri che non c’era bisogno di scomodare perché assolutamente non toccati dalla vicenda. Non si trattava di organizzare un dibattito col papa, questo sì sarebbe stato grave impedirlo, ma si trattava di decidere l’opportunità che la Sapienza scegliesse il papa come rappresentazione del proprio programma di ricerca, cosa legittimamente discutibile e discussa. Del tutto risibile poi
è l’altra lamentela sulla libera espressione del papa, quando sappiamo benissimo che in nessun altro paese europeo il Vaticano gode di una presenza tanto esuberante in tutti i media come accade invece da noi senza alcuno scandalo.
Invece di stare a discutere se c’è la libertà di discutere, in assenza di alcun impedimento a discutere, faremmo meglio a discutere del merito.
Come mai sono stati proprio i fisici ad aprire la polemica? Il processo a Galileo costituisce un passaggio fondamentale nella formazione di un fisico, soprattutto italiano, sia sul piano epistemologico sia su quello morale. È naturale quindi una sensibilità maggiore di altre discipline, soprattutto se ad attivarla ci sono ragioni precise e queste certo non mancano da quando papa Ratzinger ha deciso di sferrare un attacco a tutto campo alla scienza moderna. Non è questione di una frasetta o di una citazione passeggera, fanno torto al papa gli apologeti sia di destra sia di sinistra nel non vedere la rottura radicale, non solo rispetto al Concilio, ormai già consumata
da tempo, ma anche rispetto al predecessore Giovanni Paolo II. Il suo chiedere perdono per il processo a Galileo è stato uno dei grandi atti emblematici attraverso cui la Chiesa in alcuni momenti ha saputo ricollocare il proprio ruolo nella narrazione storica mondiale. Ma quell’atto era per il papa polacco perfettamente speculare all’accorata richiesta di riconoscimento in costituzione europea delle radici cristiane della civiltà occidentale. Coerentemente di quelle radici ricordava la linfa vitale, ma anche le sofferenze e le divisioni, chiedendo di valorizzare la prima e facendosi carico delle seconde, nel modo penitenziale che da sempre ha fondato la forza
spirituale del cristianesimo. Si può condividere o meno quelle tesi, si può partecipare o meno a quella tensione morale, ma certo si è trattato di un capolavoro lasciato in eredità da Woitila ai suoi successori. È incredibile lo squilibrio, questo sì poco dibattuto, introdotto da Ratzinger in quel capolavoro, chiedendo a gran voce il riconoscimento del primato della Chiesa, ma senza riconoscerne i peccati, riprendendo anzi l’argomento di Bellarmino, anche lui sofisticato intellettuale europeo di quel tempo, di una conciliazione tra ragione e fede. Ma una volta posto
come obiettivo tale accordo si tramuta rapidamente in una sottomissione della ragione alla fede, a causa della diversa forza performativa di quei due ambiti nello spirito umano e poiché, a dispetto delle illusioni positivistiche, più aumenta la conoscenza e maggiori sono le occasioni per la credulità.
L’identificazione tra fede e ragione è il fatto nuovo, una rottura e in parte un ritorno al passato, nella storia della Chiesa, con conseguenze di grande portata su entrambi i lati. Mi sia permesso di esprimere innanzitutto la preoccupazione per la stessa religione cristiana che viene ricondotta in tal modo ad un’esigenza ellenizzante di coerenza conoscitiva, rischiando di perdere un filone irrazionale certo non secondario nella sua storia, a cominciare dalla sfida paolina dello scandalo per i giudei e follia per i pagani. La questione non è solo teologica ma presenta profonde ricadute pastorali, poiché in società secolarizzate come le nostre la rinnovata voglia di ortodossia porta la Chiesa ad un ruolo di divisione della comunità civile. L’insistenza sui principi non negoziabili apre conflitti difficilmente ricomponibili. In una democrazia matura i principi non negoziabili possono essere solo quelli scritti nella Carta costituzionale altrimenti diventa difficile la condivisione di uno spirito pubblico. Ed è incredibile che ciò accada proprio oggi, quando siamo diventati tutti liberali, quando non ci sono più le divisioni ideologiche novecentesche, né la guerra fredda, né le contrapposizioni tra sistemi politici-culturali. Il papa buono indicò la soluzione con la sintesi che possono avere solo le profezie, distinguendo cioè tra l’errore da condannare e l’errante da amare. Oggi nella pastorale di Ruini suonerebbe scandalosa quella distinzione. In poco più di quarant’anni l’errore è diventato una clava contro gli erranti. Allora la Chiesa seppe svolgere una funzione unificante che le venne riconosciuta ampiamente e per questo aumentò e la sua credibilità morale e politica portando in Italia alla scomparsa, un secolo dopo Porta Pia, di qualsiasi retaggio anticlericale. Poi questo clima si è rotto e certo non sono i stati i settanta
professori della Sapienza a compiere il primo strappo. Non sarebbe male se Oltretevere gli animi più meditativi sollevassero la domanda su eventuali responsabilità della Chiesa per il clima di scontro che si è creato in Italia, e che certo poco si confà al ruolo di pacificazione della religione cristiana.
Mi si può dire legittimamente che questi non sono discorsi da fare ai cardinali, ai quali non possiamo certo insegnare il cristianesimo. È vero, però se loro hanno portato in trionfo gli atei che parlano devotamente della Chiesa saranno altrettanto tolleranti, almeno speriamo, se riceveranno qualche critica ispirata da sincera devozione religiosa.
Ma le conseguenze dell’accordo tra fede e ragione sono evidentemente ancora più pesanti per il secondo lato del problema. Non viviamo un periodo qualsiasi, il secolo che è appena cominciato sarà verosimilmente caratterizzato dal massimo conflitto tra scienza e religione, come forse non è mai accaduto nei secoli passati. I fisici, in ragione della loro Bildung, lo hanno avvertito per primi, ma lo scontro non riguarderà la loro scienza. Il conflitto tra Bellarmino e Galilei verteva su ciò che è esterno all’uomo, pur nelle sconfinate dimensioni dell’universo. Ma ora il conflitto riguarderà l’interno di noi, su come siamo fatti in quanto uomini, sulla natura vivente che ci costituisce. E su questo sarà lacerante la discussione, salteranno tutte le attuali divisioni ideologiche e verranno travolte le tradizionali recinzioni culturali.
Il XXI sarà il secolo della natura umana come il XVII secolo lo è stato per la natura dell’universo. Siamo solo agli inizi ed è già difficile dare una definizione della natura umana in modo condiviso, già ne diamo diverse e inconciliabili, eppure di tutte sorrideranno i nostri pronipoti. La rivoluzione della scienza della vita - in risonanza con la scienza della mente, dell’informazione e della materia – porterà a rotture profonde di paradigmi conoscitivi, a innovazioni tecnologiche inimmaginabili, ad impatti sociali e mentali di proporzioni mai viste nella storia dell’umanità.
Che cos’è la natura umana è una domanda che ricorrerà in modo inquietante per tutto il secolo e via via verranno date risposte diverse. D’altronde è stato così anche prima, seppure più lentamente, su ciò che è la vita il pensiero si è differenziato nella storia e tra diverse civiltà. La Chiesa cattolica pretende di dare una definizione fissata per sempre della natura umana e in questo curiosamente sposa un certo illuminismo di tradizione giusnaturalista. Ma è la stessa teologia cattolica a smentire questa fissità con il suo sviluppo. Basta prendere un manuale di teologia di mezzo secolo fa per trovare una concezione della vita centrata sulla persona piuttosto che sull’embrione.
La confusione del Vangelo con la biotecnologia è ovviamente un prodotto molto recente e non tra i più solidi dell’esegesi cristiana.
Ciò nonostante la Chiesa cattolica pretende di bloccare la discussione sul nascere con la definizione ipostatica di natura umana e offrendosi come autorità spirituale che la certifica anche per i non credenti. In questo meccanismo si ripresenterà in modo devastante l’intolleranza cattolica, come pretesa di bloccare ciò che è fluido nella trasformazione culturale.
Eppure, cambierà, cambierà di molto la nostra concezione della natura umana durante il secolo appena cominciato. E tale cambiamento sarà forse il banco di prova più impegnativo della democrazia, della sua capacità di fare ordine non solo nei rapporti sociali, ma anche di regolare la vita e la morte. Qui si giocherà il destino stesso della democrazia come sistema di decisione tra diversi, come risultato di habermasiane azioni comunicative. Vincerà anche questa sfida come tante altre in passato la democrazia se saprà coltivare da sé le sementi per la propria crescita se, per dirla con Bobbio manterrà la sua promessa di alimentare al suo interno le energie per il proprio sviluppo. Se al contrario passerà l’idea che la democrazia è un orcio vuoto, una mera procedura come spesso anche noi di sinistra abbiamo preferito credere, allora vinceranno quelli che intendono riempirla con il buon vino d’annata, con i valori dei bei tempi andati, con la religione civile e pagana ma rassicurante anche per chi non crede.
Di fronte alla mutazione che ci attende la Chiesa è più avanti di tutti. Con il suo fiuto millenario ha capito che la sfida decisiva è sulla scienza del XXI secolo e ha già collocato le sue forze in campo. Tra le organizzazioni scientifiche essa è quella che spende maggiori energie organizzative, ideologiche e comunicative per gestire i risultati della ricerca scientifica dal proprio punto di vista. È molto più avanti in questo lavoro del pensiero laico e d’altronde ci vuole poco, basta ricordare il recente referendum per la procreazione assistita deciso dalla semplicità della propaganda
cattolica contro l’afasia della comunicazione laica.
Ma questa è solo la punta dell’iceberg di uno squilibrio di forze molto più profondo.
Da almeno vent’anni è pienamente sviluppato un grappolo di rivoluzioni scientifiche che minano alle fondamenta le basi epistemologiche della modernità. Il mondo di Galileo è oggi superato non dalle frasi di Ratzinger ma dai nuovi paradigmi delle scienze della vita, della mente, dell’informazione e della materia, i cui maggiori successi non sono riconducibili al concetto e al ruolo della legge scientifica della fisica classica. Eppure la rivoluzione galileiana non rimase confinata alla descrizione della natura ma ebbe impatti in tanti altri campi del sapere, i quali da lì presero ad organizzarsi in diverse discipline proprio per raggiungere l’incisività e la potenza del
metodo matematico sperimentale. La ragione moderna venne organizzata prima come legge scientifica e poi come legge dello Stato, la costituzione fondamentale, e poi ancora come legge filosofica, le categorie speculative.
A Galilei risposero gli Hobbes e i Kant e tutto il sistema di pensiero moderno venne modellato su assiomi fondamentali da cui discendono per deduzione le verità particolari.
Questa mirabile costruzione di pensiero è travolta dalle scienze del XXI secolo, le quali sono andate molto avanti, senza che il pensiero riesca a star loro dietro con una comprensione all’altezza delle necessità. Oggi usiamo furiosamente le conseguenze tecnologiche di queste scienze ma non si vedono in giro gli Hobbes e i Kant capaci di proporci nuovi ordini politici e filosofici per capire davvero la rivoluzione di internet o della postgenomica.
La scienza è oggi molto più avanti della nostra capacità di comprenderla con la cultura e di governarne gli esiti. È una di quelle fasi storiche in cui la potenza di trasformazione sopravanza la capacità di regolare i processi. C’è un’asimmetria tra la forza della scienza e la debolezza del pensiero. In questo scarto nasce l’inquietudine contemporanea e il senso di smarrimento, quella sottile contraddizione dello Sciamano in elicottero, per riprendere un testo di Marco D’Eramo, che mescola nella confusa postmodernità sia l’innovazione sia la regressione culturale.
Questo squilibrio apre la strada a due esagerazioni. Da una parte la sicumera di alcuni settori scientifici e soprattutto tecnologici che, sapendo di essere più essere più avanti, spargono le illusioni di magnifiche sorti e progressive, riproponendo tra tutte le culture scientifiche il più consunto positivismo, cioè quanto di più lontano dalla complessità dei loro saperi.
Dall’altro estremo la Chiesa cattolica si offre di sanare lo squilibrio con la conciliazione, ma sarebbe meglio dire con la subordinazione della regione alla fede.
Si dice integralismo, fondamentalismo, oscurantismo, ma sono tutte parole fuori gioco, il lessico usuale dei laici più distratti è inadeguato a descrivere l’ambizioso progetto ecclesiastico. Esso opera dentro una grande contraddizione contemporanea, avendone avvertito per primo la portata e il significato, si colloca dentro una domanda aperta nell’epoca nostra, con l’ambizione di guidare il futuro conservando il passato, come seppero fare i grandi papi della Controriforma.
Il problema quindi alla fine non è Ratzinger ma ciò che deve allarmare di più è l’assoluta impreparazione della cultura laica di fronte a queste sfide. Il continuo scivolare verso la facile risposta del libero confronto di opinioni, anche senza avere alcuna opinione. La rimozione di domande forti a favore di banali problemi di metodo. La paura di un vera polemica con la religione, dimenticando che i frutti migliori della cultura occidentale, sia in politica sia nella stessa religione sono frutto proprio di questo scontro di idee, che oggi potremmo gestire più serenamente non essendoci più né roghi e ne inquisizioni. La polemica religiosa quando è creativa di tensione culturale, rispettosa della democrazia e ispirata ad un avanzamento dello spirito pubblico è sempre una risorsa per un popolo.
Al contrario, mi ha colpito l’unanimità della politica laica nel condannare i poveri professori di fisica, nel prendere sdegnosamente la distanza da loro, nell’affrettarsi a chi la sparava più grossa per non essere accusato di anticlericalismo.
In quell’aderire compatta alle ragioni del Vaticano la cultura laica è apparsa in tutta la sua debolezza, come un pugile suonato che allo stremo delle forze non può fare altro che abbracciare l’avversario nella speranza di non cadere al tappeto.
Così in questo bizzarro paese, in cui ogni giorno agiscono indisturbati mafiosi, inquinatori, politici corrotti e imbroglioni di ogni risma, in questa babilonia di illegalità e di arroganza, sono finiti sul banco degli imputati una settantina di fisici.
Conosco personalmente gran parte di loro, sono scienziati che danno prestigio all’Italia nel mondo nonostante il cattivo esempio che viene da gran parte della classe dirigente italiana, sono formatori di giovani brillanti costretti ad andarsene perché qui la ricerca non si può fare, sono persone miti e anche un po’ ingenue al contrario di molti furbacchioni che li hanno accusati, sono dipendenti dello Stato che dedicano tutte le loro energie dalla mattina alla sera per educare i nostri giovani non solo alla scienza, ma alla democrazia e al bene comune. Sono eroi civili di un Italia che neppure sa di averli come risorsa per il futuro. Sono stati messi all’indice come cattivi
maestri. Ed è proprio vero, mai come oggi la povera Italia avrebbe tanto bisogno di cattivi maestri come questi.



Ringrazio A.N. per questo contributo