20 giugno 2008

Ancora sulle leggende metropolitane

Ma come funzionano le "leggende metropolitane"? Una spiegazione è stata data, con un linguaggio accessibile e in modo spiritoso, dallo psichiatra napoletano Claudio Ciaravolo nella sua introduzione al libro "Leggende Metropolitane" di Franco Serra, pubblicato da Piemme nel 1999 e nel 2001. Un estratto interessante:

(...) Questi racconti allarmistici fanno leva sul nostro senso civico: noi siamo stati avvertiti e ora dobbiamo avvertire gli altri. Perciò ne parliamo con tutti quelli che conosciamo. E lo facciamo con piacere, dal momento che sono storie piacevoli da raccontare.

A volte, a spingerci a parlarne in giro è proprio il fatto che sono storie sorprendenti, fuori dell’ordinario, che spesso raccontano di scherzi divertentissimi, o contengono soluzioni ingegnose: una “furbata” ai danni di qualcuno evoca grande complicità tra narratore e ascoltatore (specialmente in Italia, terra di dritti o presunti tali). Altrettanto irresistibili sono i racconti sul sesso, che possono contare su un bacino d’utenza vasto, ed entusiasta. Insomma, storie che assolvono una importantissima funzione sociale: raccontarne – e ascoltarne – riempie da sempre uno spazio relazionale all’interno del quale si stringono legami e alleanze. E il gruppo si compatta.

L’utilità e la gradevolezza sono dunque qualità sufficienti a rendere una storia molto raccontabile. Ma può chiamarsi “leggenda metropolitana” solo se si verifica un fenomeno ben preciso: chi la racconta sostiene (falsamente) di conoscere molto bene un testimone oculare. O di esserlo stato lui stesso.

Per comportarsi così non è necessario essere bugiardi incalliti: in genere, i ripetitori di una leggenda sono persone normalissime, che non sono abituate a raccontare balle.

Lo fanno solo perché hanno incontrato una bella storia che conferma in pieno la loro visione del mondo.

Ma di fronte a una storia che accredita finalmente ciò che si è sempre pensato prova da sempre desiderata, come si potrebbe rimanere indifferenti?

Di verificarla non se ne parla neppure. Entusiasta, il ripetitore la racconterà subito a quanta più gente possibile: modificandone, se necessario, qualche particolare. Ma soprattutto, per evitare ogni dubbio, sosterrà di avere notizie di prima mano.

Proprio per scongiurare ogni possibile obiezione, il ripetitore si avvicina alla fonte dell’evento: “E’ accaduto a un mio carissimo amico”. Qualche volta arriva a dichiararsi testimone oculare del fatto, fino a spingersi, in casi estremi, a sostenere che è successo proprio a lui. Sa che le opinioni sono opinabili, ma un fatto è un fatto. E allora mette l’ascoltatore davanti al fatto accaduto.

Così facendo, mente. Sapendo di mentire. Non si sente però un bugiardo, e forse non lo è: è un bugiardoide. In buona fede riguardo al contenuto della storia che racconta (lui la ritiene vera), e in malafede solo per quanto riguarda la testimonianza: la sua è (secondo lui) solo una piccola bugia a fin di bene, che serve a dare maggior forza alla verità. Il ripetitore è infatti realmente convinto che quell’evento sia davvero accaduto a chi gliel’ha raccontato. Chi lo ascolta, se condivide a sua volta il sistema di credenze avallato da quella storia, si comporterà nello stesso modo. E’ così che una storia falsa (una leggenda metropolitana) si diffonde come vera.

Dieci anni fa [1], questa era solo un’ipotesi. Che aveva bisogno di essere confermata da una prova sperimentale. Dovevo riuscire a creare dal nulla – a tavolino – una leggenda metropolitana capace di diffondersi come tutte le altre attraverso il passaparola.

Inventai allora – e misi in circolazione con uno stratagemma – una storia divertente che conteneva una “soluzione geniale”: a Napoli sono in vendita delle magliette con una cintura dipinta sopra, per poter guidare senza allacciarsi le scomode cinture di sicurezza e in barba ai vigili. Storia che poteva essere presa per buona (cioè creduta vera) solo da coloro (e sono tanti!) che possiedono un pregiudizio (un sistema di credenze) ben radicato: i napoletani sono simpatici e creativi, ma un po’ imbroglioni.

L’esperimento riuscì. Per anni, in moltissimi hanno raccontato, mentendo, di conoscere delle persone che avevano visto a Napoli decine di automobilisti indossare le “magliette di sicurezza”. O di averne comprate!, personalmente.

Un’ipotesi assurda: bisognerebbe mettersela e togliersela ogni volta che si sale in macchina, sopra i vestiti. E d’inverno, sopra il cappotto. E a parte la scomodità, quale vigile si farebbe ingannare da un guidatore in maglietta, in pieno inverno? In più, considerando il traffico di Napoli, sempre bloccato, i vigili avrebbero tutto il tempo di scoprire i portatori di maglietta di sicurezza. Specialmente dopo essere stati messi in allarme dalla voce circolante. Come dire: una storia che fa acqua da tutte le parti.

Ma al ripetitore la logica non interessa affatto: per lui, la maglietta di sicurezza è solo troppo bella per essere falsa. (…)


Nota
[1] Fine anni ’80 – inizio anni ’90.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Interessante.

Il problema è che non esistono bugie a fin di bene, ma solo bugie.

Una bugia è una bugia e una falsità è una falsità.

Su questo non ci piove e non si discute, non diciamo fesserie.

Quindi un "bugiardoide" è un solo un bugiardo come milioni di altri bugiardi.

Niente di speciale.

Ora questo non sono un esempi adatti ad una leggenda metropolitana, ma servono per mostrare come spesso le falsità le raccontiamo a noi stessi per giustificare un comportamento che sappiamo ingiusto e mettere(momentaneamente) la coscienza a tacere:

Sono a dieta ma dopo cena mi mangio un cioccolatino "perché ho bisogno di affetto".

Tradisco la fidanzata o il fidanzato "perché mi sento solo/a".

Parlo male di un amico "perché mi ha ferito e se lo merita".

Razionalmente, costruirsi una realtà diversa dalla propria, alla lunga, rende ancora più infelici e insoddisfatti.

Ognuno cerca di sopravvivere come può, ma il minimo che possiamo fare è provare a non mentire!

Il diavole fa le pentole ma non i coperchi, ovvero ci si autosputtana più spesso di quanto si creda. Solo una questione di tempo.

Matteo Mazzoni ha detto...

@rosadimaggio: sono d'accordo con te e gli esempi che fai mi sembrano azzeccati, spiegano bene certi atteggiamenti... Però non credo che il buon Ciaravolo volesse giustificare i "bugiardoidi": assumeva il loro punto di vista, ma solo per mostrare come fosse sbagliato...

Anonimo ha detto...

Io c'ho letto una certa comprensione ma forse dovrei rileggere.

Quando dice:

«Ma di fronte a una storia che accredita finalmente ciò che si è sempre pensato, prova da sempre desiderata, come si potrebbe rimanere indifferenti?»

sono d'accordissimo.

E cmq, non per giustificarmi, ma sono solita fare i ragionamenti "ping-pong" e cogliere la palla al balzo per dire come la penso su certi concetti.

Matteo Mazzoni ha detto...

@rosadimaggio: in effetti il buon Ciaravolo trova le leggende metropolitane interessanti e divertenti, ma è pure consapevole del fatto che spesso servano a ribadire i pregiudizi... Ed era questo che a me interessava mettere in luce citandolo...

Regina Madry ha detto...

Uhm...
le leggende metropolitane mi hanno sempre incuriosita, sono la dimostrazione che la tecnologia serve a poco...trattasi infatti di efficacissimo "telefono senza fili" :D

Avrei voluto postare un commento su Mark Knopfler, ma il post non me lo permette... :(

Matteo Mazzoni ha detto...

@regina madry: in effetti le leggende metropolitane sono l'ultimo folklore rimasto... Perché dici che il post non ti permette di fare commenti su Mark Knopfler?