30 settembre 2013

Fra Siria e Afghanistan, Ucraina e Bielorussia si prepara la nuova geopolitica imperiale della Russia di Putin

"Novaja gazeta", 28-09-2013, 14.31.00
La Russia va sul mercato degli imperi politici

Ucraina e Bielorussia vengono coinvolte in una setta totalitaria antioccidentale slava

NVP – Novaja Vnešnjaja Politika [1]

Se non puoi risolvere i tuoi problemi – fai finta di risolvere quelli altrui. Sullo sfondo del sempre più evidente fallimento del corso economico (il paradosso della storia sta nel fatto che Putin alla fin fine, probabilmente, lascerà l'economia russa in uno stato non migliore di quello in cui la prese nel 2000) la Russia si è preparata a sostenere la causa della pace in tutto il mondo. Per questo va anche sul mercato poco affollato e inefficace degli imperi politici, di "quelli che risolvono le questioni" lontano dai propri confini geografici.

E' iniziato tutto in Siria, dove i vertici russi hanno antichi interessi commerciali. Si avvicina l'Afghanistan, che nel 2014 dovranno lasciare le forze internazionali per la collaborazione alla sicurezza sotto la guida degli USA. Ma subito hanno restituito al Cremlino Vladislav Surkov [2] – per coinvolgere Ucraina e Bielorussia in una nuova setta totalitaria ortodossa antioccidentale slava chiusa. Quale, stando al discorso di Putin alla seduta del club "Valdaj" [3], si prepara a diventare la nuova Russia.

D'ora in poi Mosca è la principale responsabile del conseguimento della pace in Siria per via politica. Per propria volontà o, come in proposito scrivono molto nel mondo, per astuta intenzione del Dipartimento di Stato degli USA. Questo, come capendo quanto impopolare fosse l'idea di un'operazione militare contro la Siria negli stessi States e quanto imprevedibili potessero risultare le sue conseguenze, ha lanciato al nuovo presidente iraniano Hassan Rouhani proprio prima dell'incontro con il collega russo l'idea del controllo internazionale sulla liberazione del regime di Assad dalle armi chimiche. Ma poi Putin ha enunciato questa iniziativa come russa. Personalmente questa idea mi ricorda l'apocrifo su come l'Islam fu inventato dai giudei per far dispetto ai cristiani, ma il fatto resta un fatto: la Russia si è chiamata lattario ed è andata nel cesto [4] di un lungo e sanguinoso conflitto internazionale.

Gli entusiasmi per la classe della diplomazia russa, che ha fermato l'intervento in Siria che sembrava inevitabile (per giunta la guerra civile con la partecipazione di mercenari internazionali e con un numero di vittime che ha superato le 100 mila, è in corso là da due anni), svaniranno rapidamente. Questa iniziativa in ogni caso non fermerà la guerra. Non esclude un'operazione militare dall'esterno. Ma alla Russia nel caso di un molto probabile fallimento non resterà una carta vincente per sostenere il mantenimento al potere del regime del proprio alleato.

Ma con qualsiasi scenario di sviluppo della situazione in Siria perlomeno non c'è una diretta minaccia alla sicurezza della stessa Russia. Nel peggiore dei casi dimostreremo semplicemente che non siamo in grado di rispondere dei nostri straordinari amici politici. Ma il quasi inevitabile ritorno geopolitico della Russia in Afghanistan può minacciare direttamente i russi.

Il summit di Soči dell'Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva (ODKB [5]), l'analogo russo della NATO, è stato costretto a fare quasi il tema principale di discussione l'imminente uscita nel 2014 del contingente militare internazionale (leggi: delle truppe americane) dall'Afghanistan. Dei paesi con cui l'Afghanistan confina – sono Cina, Iran, Turkmenistan, Tagikistan e Uzbekistan – solo i primi due sono in grado di garantire una relativa stabilità alle frontiere. Ma Uzbekistan e Turkmenistan non fanno ancora parte dell'ODKB. Tra l'altro tutte e tre queste ex repubbliche sovietiche dell'Asia Centrale sono ancora nemiche fra loro. E accanto c'è l'inquieto, misero Kirghizistan. Fra l'altro la stabilità nello stesso Afghanistan, pare, non è in grado di garantirla nessuno.

Dopo l'uscita degli americani dall'Afghanistan le sue frontiere con gli stati post-sovietici diventeranno automaticamente una zona di responsabilità politica (e, con molta probabilità, militare) della Russia. A Mosca, forse, toccherà intensificare la presenza militare nella regione, dove a suo tempo una guerra finì l'URSS. Nel frattempo la presenza militare americana in Afghanistan ha soffocato notevolmente i gruppi armati clandestini negli stati dell'Asia Centrale. Se gli States se ne andranno, la probabilità di penetrazione in Russia di potenziali esecutori di atti terroristici e corrieri della droga che trasportano la merce dall'Afghanistan, leader mondiale della produzione di eroina crescerà nettamente.

Finora tutta la politica estera reale della Russia è stata costruita sulla critica dell'impotenza dell'America nella risoluzione dei conflitti internazionali o nelle accuse per la loro escalation. La stessa Russia non ha fatto proprio niente da nessuna parte, nonostante il continuo gonfiarsi delle proprie ambizioni imperiali. Beh, forse ha allenato senza troppo successo i muscoli geopolitici nella "cassa con la sabbia" del Caucaso – in Abcasia e in Ossezia del Sud. In questi territori, che per lunghi anni hanno ritenuto il riconoscimento della loro indipendenza da parte di Mosca la panacea di tutti i mali e la ricetta della prosperità, cinque anni dopo la guerra non sono evidentemente aumentate le speranze di uno sviluppo normale. Anche se si trovano nella situazione di mantenute della Russia.

Cosicché Siria e Afghanistan, come pure il nuovo fronte di lavoro di Surkov – i paesi slavi della CSI – possono diventare il primo test pratico in molti anni dell'adeguatezza professionale delle ambizioni imperiali della Russia. Una cosa è criticare aspramente i pindosy [6] per la dimostrazione della loro eccezionalità nell'articolo di Putin sulla stampa libera americana e tutt'altra cosa è rispondere da soli del comportamento di qualche troglodita politico tipo Assad o garantire una pace stabile alle frontiere degli stati dell'Asia Centrale con l'Afghanistan.

Autore: Semën Novoprudskij


Indirizzo della pagina: http://www.novayagazeta.ru/columns/60218.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] "Nuova Politica Estera". In realtà la sigla significa perlopiù Načal'naja Voennaja Podgotovka (Preparazione Militare Iniziale). Il corsivo, qui e altrove, è mio.
[2] Vladislav Jur'evič Surkov, "ideologo" della Russia di Putin.
[3] Club che ha lo scopo di curare l'immagine della Russia e prende il nome da una città della Russia nord-occidentale.
[4] "Se ti chiami lattario, vai nel cesto" in Russia significa "agisci secondo quanto proclami".
[5] Dalla dicitura russa Organizacija Dogovora o Kollektivnoj Bezopasnosti.


29 settembre 2013

Per il campionato mondiale di calcio la Russia di Putin legalizza la schiavizzazione dei lavoratori

"Novaja gazeta", 27-09-2013, 15.14.00
Si sono spremuti uno schiavo [1]. Durante la preparazione al campionato del mondo di calcio russi e immigrati saranno ugualmente senza diritti

Durante la preparazione al campionato del mondo di calcio in Russia cesserà di essere in vigore il Codice del Lavoro – russi e immigrati saranno ugualmente senza diritti

Ai primi di giugno il presidente firmò una legge federale a prima vista non rilevante – sulla preparazione e lo svolgimento in Russia del campionato del mondo di calcio del 2018. Simili documenti sono i necessari compagni di viaggio di grandi iniziative sportive internazionali. Ma ci sono alcuni punti che rendono questa legge unica nel pieno senso della paura. Questi di fatti abrogano l'effetto del Codice del Lavoro nei confronti delle persone che costruiranno gli stadi e prepareranno le città che accoglieranno il campionato all'arrivo degli ospiti stranieri oppure parteciperanno direttamente allo svolgimento del Campionato del Mondo-2018.



La legge è stata approvata molto silenziosamente a fine maggio-inizio giugno e allora nessuno fece particolare attenzione ad essa, neanche i sindacati, – racconta il direttore del Centro per i Diritti Sociali e del Lavoro (CSTP [2]) Elena Gerasimova. Ai primi di settembre il CSTP pubblicò una conclusione giuridica, in cui si descriveva dettagliatamente in cosa la legge approvata contraddice il Codice del Lavoro russo e gli accordi internazionali nell'ambito dei diritti del lavoro. – I sindacati a lungo non si sono resi conto che riguarderà non solo gli immigrati, ma anche i lavoratori nostrani. Alla fine di agosto pubblicò una propria conclusione la Conferenza del Lavoro Russa e una settimana e mezzo dopo, finalmente, anche la Federazione dei Sindacati Indipendenti Russi.

Cos'è contenuto in questa legge?

In primo luogo, l'abrogazione di tutte le minime garanzie contenute nel Codice del Lavoro nostrano riguardo al giorno lavorativo non regolamentato, al lavoro nelle ore notturne, ai giorni di ferie e festivi, come pure agli straordinari. Si lavorerà quanto è necessario al datore di lavoro: giorno e notte, in giorni feriali e festivi, senza festività – cioè finché non si è finito. E cosa riceverà per questo ogni concreto lavoratore sarà determinato da un contratto di lavoro. Senza tener conto delle quote minime di ampliamento della retribuzione e di altri tipi di risarcimenti che sono garantiti dal Codice del Lavoro.

"Tale approccio contraddice gli impegni presi dalla Federazione Russa secondo gli accordi internazionali. In particolare, il Comitato Europeo per i Diritti Sociali, interpretando il punto 1 dell'art. 2 della Carta Sociale Europea (il punto 1 dell'art. 2 è stato ratificato dalla Federazione Russa) ha indicato che il richiamo agli straordinari non deve restare esclusivamente a discrezione del lavoratore e del datore di lavoro", – hanno constatato nella propria conclusione Elena Gerasimova e Sergej Saurin. Tuttavia questo, evidentemente, non ha confuso i deputati che hanno approvato la legge, né l'ufficio legale del Consiglio della Federazione.

In secondo luogo, la legge abroga quasi del tutto il controllo da parte dello stato sull'assunzione di lavoratori stranieri. Ai lavoratori immigrati non si richiede di ottenere il permesso di lavoro, né ai loro datori di lavoro di informare il servizio federale per l'immigrazione, il servizio per l'occupazione e gli organi fiscali sull'assunzione e il licenziamento di stranieri. Si possono assumere immigrati senza tener conto della quota di rilasci di permessi di lavoro e di rilasci di permessi di ingresso. Cioè i datori di lavoro se la vedranno da soli con i lavoratori stranieri.

Abbiamo svolto un lavoro analitico, valutando l'aspetto giuridico di questa legge, – dice Elena Gerasimova. – Ma c'è anche l'aspetto morale. I lavoratori hanno lottato per qualche centinaio di anni per la limitazione della durata dell'orario di lavoro, per i giorni festivi, per stipendi dignitosi, tutto questo è stato conquistato con il sangue e nel XXI secolo con una sola legge lo cancelliamo letteralmente per una grande categoria di lavoratori. Rinunciamo volontariamente a ciò che si ritiene uno dei grandi successi del mondo civilizzato.



La specialista dell'ambito del diritto del lavoro Elena Gerasimova è certa: tutti questi punti non sono capitati per caso nella legge sulla preparazione e sullo svolgimento del campionato del mondo. La legge federale 108 fu approvata con gravissime violazioni degli aspetti procedurali (lo constata nella propria dichiarazione la Confederazione del Lavoro). Le leggi che riguardano i rapporti sociali e di lavoro prima di essere introdotte alla Duma di Stato devono avere il consenso della Commissione Trilaterale Russa (di essa fanno parte i rappresentanti dei sindacati, delle unioni dei datori di lavoro e del governo federale). Il disegno di legge federale 108 non fu indirizzato alla Commissione Trilaterale.

Il disegno di legge suscitò alcune domande presso il comitato della Duma per il lavoro, la politica sociale e gli affari dei veterani. Nella propria conclusione il comitato propose di obbligare i datori di lavoro a informare gli organi per l'occupazione della stipula e dello scioglimento dei contratti di lavoro con gli immigrati, espresse un dubbio sulla necessità di abrogare la ricezione di permessi di lavoro e indicò che "la cerchia di lavoratori a cui, secondo la redazione proposta dal disegno di legge, può essere fissato un giorno lavorativo non regolamentato si presenta ampia in modo ingiustificato". Tuttavia questo non influenzò la decisione del capo del comitato Andrej Isaev (che compatibilmente è anche il primo presidente della Federazione dei Sindacati Indipendenti) di sostenere l'approvazione della legge.

Per l'esclusione delle norme discutibili cercò di lottare il membro del Comitato del Consiglio della Federazione per la legislazione costituzionale, le questioni legali e giudiziarie e lo sviluppo della società civili Vitalij Bogdanov, ma i suoi emendamenti per intervento del Comitato per l'educazione fisica, lo sport e gli affari della gioventù furono respinti.

La gente capiva bene cosa faceva, – ritiene Gerasimova. – Evidentemente cercavano di tener conto dell'esperienza dei cantieri a Soči per l'Olimpiade-2014, là si è permessa una quantità colossale di violazioni dei diritti dei lavoratori. Cosicché la legge federale 108 è, nella sua essenza, semplicemente la legalizzazione di queste violazioni. Cosa può essere più semplice: "abrogare" temporaneamente tutte le norme scomode perché nessuno possa presentare rimostranze a qualcuno?



"Non avevamo contratti, né permessi di lavoro. Ci presero i passaporti. Ci promisero di aiutarci con i permessi di lavoro, ma non ottenemmo niente. Tutto ciò che ho tra i documenti ufficiali è il permesso di ingresso al cantiere".

"Il padrone di tanto in tanto ci dava piccole somme: 200 rubli o 500 rubli (6 o 15 dollari USA), una volta 1400 rubli (42 dollari USA) per sigarette, telefono e ogni minuzia. Ho lavorato per quasi tre mesi, altri per cinque mesi, gratis. Promettevano, promettevano soltanto".

Su come si violavano i diritti dei lavoratori nei cantieri di Soči hanno raccontato ai ricercatori dell'organizzazzione non governativa internazionale Human Rights Watch i lavoratori immigrati di Armenia, Kirghizistan, Serbia, Tagikistan, Ucraina e Uzbekistan. Le loro storia stavano alla base del rapporto di 150 pagine "Gli anti-record olimpici. Lo sfruttamento dei lavoratori immigrati nella preparazione ai Giochi Olimpici invernali del 2014 a Soči".

Lo stipendio mensile era da 14 a 19 mila rubli [3], ma qualcuno non era affatto pagato. I contratti di lavoro erani stipulati con molti, ma non erano rispettati, e le loro copie non erano consegnate. Il turno di lavoro era di 12 ore ogni giorno. "Il lavoro durava sette giorni a settimana per qualche settimana di fila con un giorno di riposo ogni due settimane. In singoli casi, – constata Human Rights Watch, – le persone lavoravano molte settimane o mesi senza alcun giorno di riposo o con giorni di riposo molto rari". I lavoratori provavano a rivolgersi all'ispettorato del lavoro, ma questo non serviva. Però quando lo veniva a sapere il datore di lavoro, questi chiamava in cantiere il servizio federale per l'immigrazione e gli autori delle denunce venivano semplicemente cacciati dal paese.

Il servizio federale per l'immigrazione pronosticò che verso il 2012 a Soči avrebbero lavorato 200 mila stranieri, ma secondo i suoi dati del giugno 2012 nei cantieri ne erano stati avviati solo 16 mila. La differenza tra queste cifre parla del reale volume dell'immigrazione clandestina di lavoratori.

Una situazione per molti versi simile si creò in Ucraina nella preparazione al campionato d'Europa di Calcio del 2012. "Il sindacato intraprese il tentativo di attirare l'attenzione dell'UEFA sui problemi dei costruttori di EURO-2012. Purtroppo risultò che nella lista degli alti standard dell'UEFA non rientrava la garanzia della vita e della salute dei costruttori degli stadi, dove persero la vita 14 persone e furono evidenziate 5571 violazioni della tutela del lavoro e delle misure di sicurezza. Il presidente dell'UEFA M. Platini alla conferenza stampa nell'aprile 2010 definì le condizioni di lavoro nei cantieri degli stadi in Ucraina "eccezionali"", – hanno constatato l'aspirante della SPbGU [4] Anna Bol'ševa, il presidente del Sindacato dei lavoratori dei cantieri e dell'industria dei materiali di costruzione ucraino Vasilij Andreev e Elena Gerasimova nelle pubblicazioni dedicate ai problemi che attendono la Russia per via del Campionato del Mondo-2018.

Ancora prima dell'abrogazione formale dei diritti dei lavoratori avviati alla preparazione del Campionato del Mondo-2018 il lavoro nei cantieri del campionato non si poteva definire dignitoso, – ritengono gli esperti. – Sui mezzi di comunicazione di massa più di una volta è stata data notizia di violazioni delle norme sulla tutela del lavoro e sulle misure di sicurezza nei cantieri degli impianti del Campionato del Mondo-2018; a San Pietroburgo e a Kazan' nei cantieri sono morte cinque persone. Da parte delle autorità furono fatte dichiarazioni sulle inchieste iniziate sui casi mortali, ma non sono seguite notizie sui risultati delle indagini.

Autrice: Zinaida Burskaja



Indirizzo della pagina: http://www.novayagazeta.ru/politics/60189.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Parodia della frase di Anton Pavlovič Čechov "spremere via da se lo schiavo", cioè liberarsi da un atteggiamento servile.
[2] Dalla dicitura russa Centr Social'no-Trudovych Prav.
[3] Da 420 a 570 dollari USA.

[4] Sankt-PeterBurgskij Gosudarstvennyj Universitet (Università Statale di San Pietroburgo).

28 settembre 2013

La Russia di Putin occupa silenziosamente la Georgia?

L'occupazione strisciante continua

Nel villaggio di Dvani del distretto di Kareli della Georgia i militari russi hanno ripreso il processo di erezione delle barriere di filo spinato al mattino del 22 settembre. Secondo l'incaricato dell'organo territoriale di Dvani Zaza Kopadze, i militari russi hanno già spostato il cosiddetto confine di 600 metri. Come indica Zaza Kopadze, a Dvani questo processo era stato arrestato per un mese e mezzo, tuttavia adesso è ripreso di nuovo.

Bisogna ricordare che all'inizio della scorsa settimana le guardie di confine russe hanno continuato a fissare le barriere presso il villaggio di Ditsi nel distretto di Gori. A maggio il Ministero degli Esteri georgiano riferì che i fili spinati erano stati stesi nei villaggi di Didi Khurvaleti, Gugutiantkari, Kvemo Nikozi, Tamarasheni, Dvani e Atotsi, che sono al confine tra Ossezia del Sud e Georgia.

La preistoria

Com'è noto, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin il 12 settembre firmò la disposizione "Sulla firma dell'accordo tra Federazione Russa e Repubblica dell'Ossezia del Sud sul confine di stato", secondo cui si approva la proposta del governo della Federazione Russa sulla firma di questo accordo. Tra l'altro si incarica il Ministero degli Esteri della Federazione Russa di condurre le conseguenti trattative con le autorità di fatto della regione.

Per questo motivo il Ministero degli Esteri georgiano attraverso l'ambasciata svizzera ha inviato una nota di protesta alla Federazione Russa per via dell'intenzione della parte russa di firmare un accordo sul "confine di stato" con la cosiddetta Ossezia del Sud, dichiarò il 13 settembre il primo vice-capo del Ministero degli Esteri georgiano David Zalkaliani.

"Già il 5 settembre, dopo che ci fu reso noto che il governo della Federazione Russa si era rivolto al presidente russo con l'iniziativa di formalizzare il cosiddetto confine tra la Federazione Russa e la regione di Tskhinvali (l'Ossezia del Sud – n.d.r.), inviammo, con l'aiuto dell'ambasciata svizzera, una nota di protesta alla Federazione Russa, in cui si faceva notare che la formalizzazione di qualsiasi accordo di quel tipo fosse una violazione delle norme del diritto internazionale, che questa non ha alcuna forza giuridica e che sarà riconosciuta nulla", – dichiarò Zalkaliani.

La Russia porta avanti molto coscientemente il proprio piano

"Dovremo avere a che fare con una forza civile e probabilmente allora saremo più ottimisti", – così, nel corso della tradizionale conferenza stampa tenuta ogni lunedì, ha reagito il vice-capo del Ministero degli Esteri georgiano David Dzhalagania il 23 settembre alla ripresa dell'erezione di barriere di filo spinato da parte dei militari russi a Dvani e a Ditsi.

Come ha notato il vice-capo del Ministero degli Esteri georgiano, in questa situazione la parte georgiane può contrapporre alla Russia solo metodi pacifici e civili.

"Su questo sfondo, mentre la Georgia cerca al massimo di portare il dialogo con il vicino del Nord su un piano costruttivo, ci tocca purtroppo notare ancora una volta che la parte russa si distingue per mancanza di atteggiamento costruttivo. E' una questione critica, dolorosa. Questo processo non è iniziato ora. Purtroppo la Russia porta avanti molto coscientemente il proprio piano. Talvolta questo si arresta, talvolta le operazioni si attivano, tuttavia lo stato d'animo da regime di occupazione non cambia", – ha dichiarato Dzhalagania.

Il raccolto sotto sorveglianza dei militari russi

Bisogna notare che il 23 settembre i rappresentanti del Ministero degli Interni georgiano hanno fatto conoscenza sul posto con la situazione di Dvani.

Il Ministero degli Interni georgiano ha espresso profonda preoccupazione per via di quanto si verifica là e ha notato che, nonostante le numerose dichiarazioni e la protesta della società georgiana e internazionale, il processo di erezione delle barriere di filo spinato da parte delle truppe russe continua di nuovo.

Bisogna indicare che negli orti attigui ai territori georgiani occupati la popolazione locale è giunta al momento del raccolto. I militari russi gli hanno dato questa possibilità. Inoltre, come riferisce il corrispondente dell'agenzia di stampa georgiana "Interpress News", dopo la conclusione del raccolto i militari russi intendono continuare i lavori di montaggio sulla cosiddetta striscia di confine.

I militari russi si trovano sul perimetro del territorio occupato e il raccolto si compie sotto la loro sorveglianza.

Per quanto riguarda i tutori dell'ordine georgiani, anch'essi resteranno su questo territorio finché la popolazione locale non finirà il raccolto.

Inoltre i militari russi hanno già ripreso i cosiddetti lavori di confine su quel territorio dove la popolazione locale ha raccolto il granturco. Secondo quanto dichiarato dall'incaricato dell'organo territoriale di Dvani Zaza Kopadze, alcune decine di ettari di terra appartenente ad abitanti di Dvani sono passate sotto il controllo della parte osseta.

Zurab Abashidze espresse preoccupazione

Il rappresentante speciale del primo ministro georgiano per le questioni delle relazioni con la Federazione Russa Zurab Abashidze il 19 settembre a Praga all'incontro con il vice-capo del Ministero degli Esteri russo Grigorij Karasin espresse preoccupazione a nome del governo georgiano per via degli avvenimenti verificatisi presso la linea di occupazione.

Come ha notato Zurab Abashidze al briefing svoltosi il 23 settembre, stavolta era andato all'incontro con Karasin con una disposizione più o meno positiva, tuttavia quello che si era verificato sulla linea di occupazione giorni prima, si capisce, aveva creato uno sfondo abbastanza negativo. A suo dire, prima di ogni ennesimo incontro del genere la situazione presso la linea di occupazione si fa particolarmente tesa.

Non bisogna neanche dimenticare che il governo della Georgia e il signor Abashidze sono stati accusati più di una volta dai rappresentanti del "movimento nazionale" e dei partiti di opposizione di aver fatto concessioni a Mosca in cambio del ritorno dei prodotti georgiani sul mercato della Federazione Russa.

Anche se, secondo quanto dichiarato dal rappresentante speciale del primo ministro georgiano per le questioni delle relazioni con la Federazione Russa Zurab Abashidze, la Tbilisi ufficiale non ha fatto alcuna concessione a Mosca.

A quanto dice il rappresentante speciale, gli chiedono spesso quale sia il prezzo del ritorno dei prodotti georgiani sul mercato russo. "Voglio dichiarare precisamente che da parte nostra non è stata fatta alcuna concessione", – ha dichiarato Zurab Abashidze il 23 settembre nel corso della conferenza stampa.

La posizione di Mosca

Come ha chiarito il rappresentante speciale del premier georgiano, Mosca spiega i processi che si verificano a Ditsi e a Dvani con l'accordo formalizzato con le cosiddette Ossezia del Sud e Abcasia, che presuppone la costruzione di infrastrutture della striscia di confine. Inoltre, secondo quanto ha dichiarato, la costruzione del cosiddetto confine è la prosecuzione di quella decisione che fu presa dalla Russia nel 2008.

"La costruzione del cosiddetto confine è legata alla guerra del 2008. E' la prosecuzione di quella decisione che fu presa allora dalla Russia allo scopo di aiutare la formazione delle cosiddette Ossezia del Sud e Abcasia come stati indipendenti", – ha dichiarato Abashidze, notando che la risposta a questo da parte georgiana è che non esiste alcun confine di stato tra la Russia e la cosiddetta Ossezia del Sud.

Come risponderà la Georgia

La situazione nella regione di Tskhinvali sarà una delle principali questioni che la delegazione georgiana esaminerà alla 68.a sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU. Bisogna indicare che la delegazione georgiana con a capo il presidente georgiano Mikhail Saakashvili prenderà parte ai lavori della 68.a sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU dal 23 al 27 settembre. Com'è noto, la sessione si è aperta a New York il 17 settembre. Nell'ambito della visita la parte georgiana terrà un incontro con i rappresentanti dei paesi partner e con i capi delle istituzioni dell'ONU.

E il ministro degli Esteri georgiano Maja Pandzhikidze prenderà parte ai forum tematici programmati nell'ambito dei dibattiti generali dell'Assemblea Generale dell'ONU.

"In tutti gli incontri nell'ambito della sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU saranno esaminati i processi in corso in Georgia. Chiederemo ai nostri partner di reagire adeguatamente e nettamente alle azioni della Russia", – ha dichiarato Dzhalagania.

A suo dire, "alle azioni aggressive della Russia la Georgia può contrapporre solo metodi pacifici e civili. Questo si verifica su uno sfondo in cui la Georgia cerca al massimo di portare il dialogo con il vicino del Nord su un piano costruttivo. Purtroppo ci tocca purtroppo notare che la parte russa si distingue di nuovo per mancanza di atteggiamento costruttivo", – ha notato Dzhalagania.

La posizione dei sostenitori di Saakashvili

Bisogna notare che il partito pro-presidenziale georgiano "Movimento Nazionale Unito" invita la coalizione "Sogno Georgiano" al governo a non cercare di far sì che la popolazione del paese si rassegni alla situazione dell'Ossezia del Sud.

"Invitiamo il governo a non cercare di far sì che il nostro popolo si rassegni all'occupazione, a non cercare di raggiungere lo scopo di far guardare con comprensione il nostro popolo e la comunità internazionale al dispiegamento di un confine sulla linea di occupazione. Che questi (i membri della coalizione al governo) non proseguano la politica di capitolazione", – ha dichiarato al briefing del 23 settembre il vice-presidente del parlamento Baramidze, del "movimento nazionale".

Bisogna notare che Tbilisi ruppe le relazioni diplomatiche con la Russia dopo il riconoscimento da parte di Mosca dell'indipendenza dell'Abcasia e della cosiddetta Ossezia del Sud nell'agosto 2008. I rappresentanti del governo di Bidzina Ivanishvili, che giunsero al potere in conseguenza delle elezioni parlamentari del 1 ottobre 2012, hanno definito la normalizzazione delle relazioni con la Federazione Russa una delle principali priorità della politica del paese.

La Georgia non si rassegnerà neanche alla perdita di un palmo di terra

Secondo quanto ha dichiarato il ministro della Giustizia georgiano Teja Tsulukiani, la Georgia non si rassegnerà neanche alla perdita di un palmo della propria terra.

"Se l'occupazione strisciante da parte della Russia viene vista come una pressione su di noi perché rinunciamo ai piani legati all'Unione Europea, non faremo questo e non cederemo i nostri territori", – ha dichiarato il capo del Ministero della Giustizia georgiano, commentando il processo di dispiegamento del cosiddetto confine nella Cartalia [1] Shida (Interna). Secondo Tsulukiani, per via di questo alla Georgia sono necessarie dichiarazioni dure da parte dell'Unione Europea e di altri amici internazionali perché la Russia capisca che la Georgia non si rassegnerà affatto alla perdita di un solo palmo di terra.

"Durante la visita a Bruxelles parlai dell'occupazione strisciante tanto con il commissario Štefan Füle, quanto con il commissario Cecilia Malmström. L'Unione Europea oggi dichiara univocamente che ciò che accade è inaccettabile. Ci sono molto necessarie dure dichiarazioni dell'Unione Europea e di altri amici perché la Russia capisca che la Georgia non si rassegnerà affatto alla perdita di un solo palmo di terra. Noi, per vie pacifiche, usando tutte le leve internazionali, tra cui il dialogo con la Russia, otterremo la de-occupazione dei nostri territori", – ha dichiarato ai giornalisti Teja Tsulukiani.

Le opinioni di esperti e politici

Secondo il rettore dell'Accademia Diplomatica georgiana, il professor Soso Tsintsadze, l'unica via d'uscita dalla situazione che si è creata è l'incontro tra Putin e Ivanishvili.

In diplomazia non ci sono situazioni senza via d'uscita, tuttavia, tenendo conto degli avvenimenti che si sono svolti, sono necessarie decisioni politicamente coraggiose.

"Talvolta davanti alle parti sorge una realtà tale che la diplomazia leggera diventa inefficace ed è necessaria la sostituzione con una terapia chirurgica. Intendo decisioni dolorose, ma creative. Si capisce, non intendo il coraggio politico di De Gaulle, che rinunciò all'Algeria. Oggi una decisione politicamente coraggiosa sarebbe l'incontro di Ivanishvili e Putin senza alcuna condizione preliminare. A parte questo, non esiste altra via d'uscita", – ha dichiarato Tsintsadze. A suo dire, è l'unica via d'uscita, in quanto solo a quel livello è possibile uno slancio.

Secondo quanto ha dichiarato il candidato alla presidenza della coalizione "Sogno Georgiano" Giorgij Margvelashvili, le barriere di filo spinato dispiegate presso la linea di occupazione non hanno futuro come il muro di Berlino.

Come ha notato commentando gli avvenimenti che si verificano negli ultimi tempi presso la linea di occupazione, la Georgia ha intrapreso passi positivi per il miglioramento delle relazioni con la Russia. A suo dire, quello che si verifica presso la linea di occupazione sferra un serio colpo all'immagine della Russia e indica che la Russia non è pronta a relazioni costruttive.

"Il punto principale e di partenza sta nel fatto che lo stato georgiano non raccoglierà la provocazione. Abbiamo una risorsa per agire in questa direzione. E' il nostro accordo con la comunità internazionale e il nostro pieno accordo con tutta l'umanità civile e siamo intenzionati a utilizzare proprio questo metodo. Lo riteniamo un mezzo efficace", – ha dichiarato Margvelashvili.

A suo dire, simili passi mettono sempre i diplomatici russi in una posizione difficile.

Per quanto riguarda la leader del partito "Movimento Democratico – Georgia Unita" Nino Burdzhanadze, per via della ripresa dei lavori per la demarcazione nel villaggio di Dvani nella regione di Shida Cartalia ha invitato la leadership georgiana a intraprendere passi efficaci.

"E' estremamente scandaloso e inaccettabile che nel 21° secolo si dispieghino barriere di filo spinato, che si elevi un muro tra i popoli. In tal caso chi deve risolvere questo problema? Deve intervenire in primo luogo la nostra leadership, che, purtroppo, non può fare niente. E quello che oggi si verifica da parte della Russia testimonia pure qualcosa ed è pure segno di qualcosa", – ha dichiarato Burdzhanadze.

A mo' di postfazione

Come si dice nel comunicato del dicastero di politica estera russo, gli interlocutori hanno discusso il corso delle preparazione e le prospettive di approvazione da parte dei partecipanti al dibattito di Ginevra sul Caucaso del Sud di una dichiarazione comune sulla rinuncia all'uso della forza.

Si diffondono affermazioni evidentemente false su un presunto spostamento della linea di confine all'interno del territorio. La polizia georgiana è direttamente coinvolta nell'organizzazione di "azioni di protesta della popolazione locale" con la loro conseguente cronaca tendenziosa sui mezzi di comunicazione di massa come fu, per esempio, il 17 settembre 2013 vicino al centro abitato di Ditsi.

Negli ultimi giorni si è fatto rumore intorno alle iniziative nel distretto del centro abitato di Dvani. E' chiaro che le misure pianificate di Tskhinvali portate avanti nel corso degli ultimi anni per la garanzia di un efficace regime alle frontiere di stato con la collaborazione degli agenti di confine russi causano dispiacere in Georgia, dove non sono pronti a riconoscere l'irreversibilità delle conseguenze della criminale avventura militare di Mikhail Saakashvili nell'agosto 2008.

"Ma è una premeditata compressione di emozioni, le speculazioni politiche intorno a questo tema sono inaccettabili. Queste sono gravide di serie conseguenze per la stabilità regionale", – si dice nella dichiarazione di Karasin pubblicata sul sito ufficiale del Ministero degli Esteri russo.

Secondo Grigorij Karasin, "dalla parte russa è stata espressa la speranza che il rappresentante speciale dell'UE e gli osservatori della Missione dell'UE per il monitoraggio in Georgia tratterranno Tbilisi dal fare passi irresponsabili nei distretti di confine, in particolare nelle condizioni dell'attuale situazione pre-elettorale nel paese".

"Partiamo dal fatto che gli aspetti pratici legati al regime del confine tra Ossezia del Sud e Georgia si devono discutere in modo tranquillo e costruttivo nell'ambito del Meccanismo di prevenzione e reazione agli incidenti in vigore in questo distretto, che ha dimostrato la propria efficacia", – chiarisce il Segretario di Stato e vice-capo del Ministero degli Esteri della Federazione Russa Grigorij Karasin.

Fridon Dočija, "Kavkazskaja politika", 25 settembre 2013, http://kavpolit.com/polzuchaya-okkupaciya-prodolzhaetsya/ (traduzione e note di Matteo Mazzoni)


[1] Regione storica della Georgia.

25 settembre 2013

Il "caso del pantano" tra le assurde deposizioni degli agenti di polizia e le vaghe speranze di amnistia

"Novaja gazeta", 23-09-2013. 01.40.00
"Ci dissero che avrebbero preso il Cremlino": gli avvenimenti di piazza Bolotnaja [1] visti con gli occhi degli agenti dell'OMON [2]

Gli avvenimenti di piazza Bolotnaja visti con gli occhi degli agenti dell'OMON, adesso parti lese

Nel "processo del pantano" in quattro mesi sono state interrogate 8 parti lese e un testimone dell'accusa. Questi sono agenti dell'OMON di Mosca, del 2° reggimento operativo della Direzione Centrale del Ministero degli Interni di Mosca, come pure il colonnello Dmitrij Dejničenko, che il 6 maggio 2012, essendo il vice-capo della direzione per la tutela dell'ordine pubblico del comitato centrale di Mosca, di fatto comandava le azioni degli agenti di polizia.

Ma nel processo a uno dei "prigionieri di piazza Bolotnaja", Michail Kosenko, il cui caso è stato messo a parte, sono stati interrogati quattro agenti di polizia. Uno di essi è la parte lesa, l'agente dell'OMON Kaz'min, che nel corso dell'interrogatorio non ha riconosciuto in Kosenko il proprio offensore.

E' ciò che confonde di principio in questi interrogatori… Parrebbe che i testimoni e in particolare le parti lese dovessero ricordare bene questo giorno difficile per loro. Ma la maggior parte preferisce riferirsi a una cattiva memoria, chiarendo che lavorano regolarmente su tali iniziative, spesso arrestano cittadini e perciò tutto si è come confuso in testa.

Allora sorge la domanda: se questa era un'iniziativa ordinaria, che, secondo i poliziotti, non si distingueva in nulla da una serie di cose simili, se gli arrestati in piazza Bolotnaja nella loro memoria si fondono con una serie di altri partecipanti a varie manifestazioni, perché proprio in questo caso gli agenti dell'OMON sono risultati particolarmente lesi, vittime di profondi shock a causa di lividi, escoriazioni e tagli alle dita?

I loro interrogatori al processo si svolgono secondo uno schema standard. Parti lese e testimoni, i cui ricordi sono arricchiti dall'esame delle videoregistrazioni degli avvenimenti del 6 maggio durante le azioni investigative e dalla sua esposizione da parte degli inquirenti, raccontano la stessa storia – praticamente stereotipata. Sono arrivati allora, sono stati là, poi è giunto l'ordine di arrestare. Ma poi si è fatto buio e tutto si è concluso.

Ma appena gli avvocati iniziano a fare domande, iniziano a tradirsi sui frammenti, sui dettagli. Sulla base di queste singole frasi buttate là abbiamo anche cercato di ricreare il quadro di quanto si verificò il 6 maggio visto con gli occhi delle parti lese e dei testimoni dell'accusa.


Il percorso e lo sfondamento

German Litvinov, comandante di una sezione dell'OMON: "Stavamo nella piazza (Bolotnaja – nota dell'autrice), alle 16.00 abbiamo acceso i megafoni (qui e in seguito evidenziato da me – n.d.a.). Il cordone (di agenti di polizia e truppe interne – n.d.a.) dal ponte Malyj Kamennyj [3] all'angolo del giardino pubblico prese a muoversi, la folla prese a premere. Si verificò uno sfondamento, circa 200 persone irruppero, giunse l'ordine di arrestare quelle aggressive".

Questa è una testimonianza molto importante. Risulta che alle quattro di pomeriggio, ancora prima dell'inizio del sit-in organizzato dai manifestanti e prima dello sfondamento la polizia con l'uso di mezzi speciali (megafoni) cercò in qualche modo di cambiare lo scenario di svolgimento dell'iniziativa concordata (nel percorso e nei tempi) e di indirizzare il corteo per un percorso improvvisamente cambiato. Cioè – il giardino pubblico Repin nel percorso concordato c'era, ma risultò chiuso e presero a cacciare i dimostranti nello stretto collo di bottiglia sul lungofiume Bolotnaja. Proprio questi "forti" ordini si riflessero anche sul comportamento del cordone degli agenti delle truppe interne e del Ministero dell'Interno, imbattutasi nel quale, la gente alla fin fine aveva iniziato a sedersi sull'asfalto.

Aleksandr Gogolev, poliziotto della 3.a compagnia del 3° plotone del 2° reggimento operativo: "Il 6 maggio giungemmo in piazza Bolotnaja verso le tre. Eravamo nel gruppo per gli arresti, il capo era il sottufficiale Vinogradov. Ci accingemmo agli arresti qualche minuto dopo le sei dopo lo sfondamento del cordone. Allora ci muovemmo in direzione del ponte Bol'šoj Kamennyj [4], avevano sfondato 100-150 persone, c'era l'ordine di arrestare quelle attive, che gridavano slogan antigovernativi: "Questa è la nostra città!", "Abbasso lo stato di polizia!", "Putin-sci-Magadan!" [5]

Il combattente dell'OMON Ivan Kruglov. "Il 6 maggio ero in servizio. In piazza Bolotnaja inizialmente ci trovavamo in automobile fino all'ordine del comandante di spostarci, poi ci schierarono, ci fu un'altra istruzione per l'osservanza della tutela dell'ordine. Ci dissero di rivolgerci gentilmente ai cittadini, di non raccogliere le provocazioni. Poi giunse l'ordine di dividerci in gruppi di cinque e arrestare le persone aggressive".

In tal modo si spiega che tutti gli agenti di polizia interrogati durante il processo avevano avuto due istruzioni. Una prima di entrare in servizio, l'altra già in piazza Bolotnaja, ma anche presso il cinema "Udarnik" [6] (secondo la testimonianza dell'agente del 2° reggimento operativo Moiseev). A questi fu data la notizia che il passaggio dal giardino pubblico Repin a piazza Bolotnaja era chiuso o limitato. Anche se nel percorso concordato non si parlava di questo.

Alla domanda dell'avvocato Makarova se il poliziotto Moiseev non avesse sentito dai suoi capi che il giardino pubblico era chiuso allo scopo di non permettere il montaggio di una tendopoli, questi ha risposto affermativamente. Cioè il percorso di svolgimento fu cambiato perché qualcuno temeva un mitico assalto al Cremlino, ma gli organizzatori dell'azione e i suoi partecipanti semplicemente non lo seppero.


Perché tutti si sedettero

Praticamente nessuno delle parti lese e dei testimoni interrogati fino ad oggi ricorda dove fosse il sit-in e perché cominciò. Alla domanda sul perché il cordone di agenti di polizia che circondava il passaggio al giardino pubblico Repin e al luogo di svolgimento della manifestazione fu disposto proprio presso il cinema "Udarnik", dove pure si verificarono gli avvenimenti fondamentali non sa rispondere neanche il colonnello Dejničenko, anche se era obbligato a saperlo. Secondo le testimonianze di tutti gli agenti dell'OMON, proprio dopo che il corteo si imbatté in questo cordone ed ebbe luogo il sit-in e in seguito la provocazione con la partecipazione di "persone mascherate", la ressa e il cosiddetto "sfondamento".

Tra l'altro nessun agente di polizia sa dire precisamente dove dovesse svolgersi l'iniziativa permessa, nessun agente dell'OMON sa chiarire dove finissero i confini di piazza Bolotnaja – questo nelle istruzioni non fu spiegato.

"Penso che tutto questo fu creato artificialmente perché la gente non passasse alla manifestazione e si verificasse lo sfondamento Ma questa è la mia opinione personale", – ha detto al processo l'agente dell'OMON Litvinov.


Le maschere

"Le maschere si portano notevolmente, in qualsiasi parte del corpo, in qualsiasi tasca o borsa, in particolare nella biancheria intima e anche nei calzini, in ogni caso. Se un agente di polizia sarà colto in negligenza e nel corso di un controllo di servizio questo sarà dimostrato, questi sarà incriminato", – ha detto convinto Dejničenko al processo.

Ma nessun agente di polizia, compresi i capi, è stato finora incriminato, anche se in piazza c'erano le maschere e per di più le bombolette di gas e come minimo una bottiglia con una miscela incendiaria. Chi sono le persone che le portarono?

Vide persone mascherate anche Moiseev: "Vidi persone con vestiti scuri e alcuni avevano maschere di diverse tinte". L'agente dell'OMON Kuvšinnikov ha raccontato al giudice che questi arrestarono apposta persone mascherate. Ma se questi provocatori, secondo l'orientamento dei capi della polizia, rappresentavano un particolare pericolo sociale, perché oggi non sono sul banco degli imputati?

Nel corso del processo a Kosenko Roman Puzikov, agente dell'OMON del Centro con Compiti Speciali della Direzione Centrale del Ministero degli Interni di Mosca ha detto: "Giunse l'ordine del colonnello Belov di dividersi in quintetti e arrestare le persone dall'atteggiamento violento, con bandiere, mascherati e con fasciature".

L'agente dell'OMON Igor' Tarasov: "In un momento verso le quattro di sera feci attenzione al fatto che sugli agenti dell'OMON che si trovavano alle mie spalle andava un'ondata, si tenevano per mano, avevano preso ad andare indietro. Poi vedo, hanno sfondato il cordone, la gente correva, giunse l'ordine di accingersi agli arresti. Prima di questo Panov ci disse di arrestare solo le persone attive. Arrestai un cittadino mascherato. Su di noi facevano incursioni dei cittadini, ci impedivano di compiere gli arresti, più di tutti ci impediva una nonnetta, aggrappandosi ai giubbotti antiproiettile E scomparve, poi i suoi agenti l'avevano già portato via. Mi avvicino al cordone per arrestare i più attivi, feci attenzione al fatto che un altro cittadino di grossa corporatura, con una maschera nera e una bomboletta di gas, si avvicina e spruzza in faccia a un soldato, il soldato cade, io accorro, inizio a portarlo via da questo cordone, lo trascinai al "pronto soccorso" con un altro agente. Arrestammo persone mascherate, io ritengo, sei venuto a un corteo pacifico, non c'è motivo di coprire il volto".

Ma in conseguenza furono incriminate a livello civile tutt'altre persone – non quelle con maschere e razzi e anche a livello penale, a ben vedere, si incriminano tutt'altre persone.


La marcia sul Cremlino

Come ha raccontato l'agente dell'OMON Troerin, arrestarono anche per insulti osceni. Ed ecco perché arrestarono chi, in seguito alla ressa, si abbatté sul cordone, ha spiegato l'agente di polizia Aleksandr Gogolev: "Questi si mossero in direzione del Cremlino, questo è oltre il ponte Bol'šoj Kamennyj". Alla domanda dell'avvocato Kljugvant se avessero la possibilità teorica di arrivare al Cremlino, Gogolev ha risposto duramente – no: "Là c'era un cordone di agenti e c'erano i mezzi".

E tutti i testimoni e le parti lese ripetono la stessa cosa come un mantra: la gente intendeva andare al Cremlino. Cioè proprio a questo li prepararono e proprio così li istruirono?
Tra l'altro non li istruirono affatto su cosa ritenere slogan illegali. Le grida: "Siamo il potere qui!", "Questa è la nostra città", – furono presi come estremisti. E, per esempio, l'agente dell'OMON Gogolev prese per un'offesa la frase "Putin-sci-Magadan".

La logica è chiara – l'agente dell'OMON Emel'janov: "La scansione appelli al rivolgimento e le offese sono certamente illegali. E in generale il comandante decide di arrestare per questo".


Da dov'è venuto cosa

Sono importanti anche le deposizioni sulla battaglia per le barriere metalliche disposte tra i manifestanti e la polizia. Nessuno al processo sa spiegare, da dove in generale siano venute queste barriere, ma tolsero queste cose di valore con l'aiuto dei manganelli. L'agente dell'OMON Litvinov: "Stavamo nel cordone. I cittadini unirono le barriere e presero a muoversi verso di noi per stringerci. Arrestare le persone aggressive era impossibile. Decidemmo di strappargli le barriere. Un giovane con una mascherina da chirurgo ruppe una bottiglia contro una barriera, un frammento mi ferì un dito (Litvinov ha un taglio a un dito di 1,5 cm – n.d.a.). Mi rivolsi al "pronto soccorso".

Alla semplice domanda dell'avvocato Makarov: "Ma come vi furono date queste barriere?" – Litvinov ha spiegato: "Le barriere erano contusive. Non c'era ordine di togliere le barriere, ma potevano causare contusioni a noi e a loro. Ci fu un momento in cui una ragazza cadde tra le barriere, riuscì appena a saltar fuori". "Usammo i PR-73 (manganelli di gomma – n.d.a.) nel tentativo di cacciare i cittadini dalle barriere. Colpimmo dall'alto in basso per la tangente, probabilmente sulle mani", – ha mostrato al processo Litvinov.

Gli agenti dell'OMON hanno detto che nella folla fu nebulizzato del gas, anche se praticamente nessuno di loro ha visto chi lo nebulizzò. Quando l'avvocato Makarov volta per volta ha chiesto delle bombolette di gas lacrimogeno, questa domanda è stata fatta togliere con varie formulazioni o gli agenti dell'OMON hanno risposto: "Questo non c'era da noi". Tuttavia l'agente del 2° reggimento operativo di polizia Gogolev ha raccontato che le bombolette con il gas lacrimogeno furono date tra gli altri mezzi speciali.


Conclusioni preliminari

In generale in piazza Bolotnaja ci fu un pasticcio. Due istruzioni che furono date agli agenti di polizia non gli chiarirono comunque i limiti dell'iniziativa concordata, né quali fossero i motivi per l'arresto. Di conseguenza gli agenti dell'OMON agirono intuitivamente, basandosi sulle proprie idee di legalità. Chi tra i capi dette gli ordini o se in generale li dette nessuno dei testimoni lo – perlomeno non lo dice al giudice.

Ed è del tutto difficile capire cosa può trarre l'accusa da queste deposizioni dal punto di vista della qualificazione dell'articolo 212 del Codice Penale "Disordini di massa". Nessuno dei testimoni parla di assalti, né di incendi, né di distruzioni di proprietà, né di resistenza armata. Però raccontano onestamente che li prepararono ad arrestare i partecipanti attivi all'iniziativa concordata per slogan e cartelli "sbagliati". Quali fossero quelli giusti, nessuno l'ha spiegato.

E' evidente pure che il percorso fu cambiato: lo sapevano gli agenti di polizia, tuttavia non lo sapevano i manifestanti.

E la cosa più importante: dove sono i provocatori mascherati arrestati di cui hanno parlato i combattenti dell'OMON, ma di cui gli inquirenti non si interessano?

E' il momento di avviare la macchina del tempo e ricordare cosa raccontò la "Novaja gazeta". Durante le istruzioni orientarono gli agenti dell'OMON a bloccare i tentativi dei manifestanti di "andare al Cremlino" (vedi n° 40 della "Novaja gazeta" del 2013). Di questo molti agenti dell'OMON parlarono durante le indagini preliminari. Ma quasi nessuno di loro allora aveva sentito appelli immediati ad assaltare la Piazza Rossa. Al processo si è verificato un miracoloso ristabilimento della memoria.

Ancora prima (vedi n° 67 della "Novaja gazeta" del 2012), ricostruendo gli avvenimenti secondo le videoregistrazioni, ponemmo la domanda: "Perché la polizia calò griglie di recinzione metalliche e iniziò un blitz trasformatosi in pestaggio?» Nelle udienze del processo abbiamo ottenuto una risposta: fu una reazione spontanea degli agenti dell'OMON, che erano smarriti e non avevano ricevuto un ordine preciso.

Risulta che la brutta copia della conclusione dell'accusa fu scritta ancor prima che la gente andasse in piazza. E le comparse dell'OMON al processo non possono toglierci questa convinzione.

Julija POLUCHINA

P.S. Ringraziamo il "Comitato 6 maggio" per l'aiuto nella preparazione dell'articolo.


In esclusiva

Come trattare le parole del presidente sulla possibilità di un'amnistia nel "caso del pantano"

Al forum di Valdaj [7], rispondendo alla domanda di uno dei leader dello RPR-PARNAS [8] Vladimir Ryžkov se sia possibile l'amnistia per le persone coinvolte nel "caso del pantano", il presidente Vladimir Putin ha detto:

Si può vedere in questo caso se usare il diritto di amnistia? Non lo escludo. Ma l'atteggiamento verso il caso dev'essere il più serio. Non lo escludo, ma bisogna dare la possibilità di portare tutte le procedure necessarie alla logica conclusione giuridica.

Politicamente tale enunciato del presidente si può valutare in vari modi, ma dal lato giuridico, ahimè, è senza contenuto.

In primo luogo, il presidente ha il diritto di grazia, l'amnistia è dichiarata dalla Duma di Stato – cosicché formalmente l'opinione di Vladimir Putin qui non gioca alcun ruolo.

In secondo luogo, dalle parole del presidente si può trarre la conclusione che i "prigionieri del pantano" non si possono amnistiare finché non si compiano le "necessarie procedure" – cioè il processo e le indagini. Ma non è così. L'applicazione dell'amnistia non è in alcun modo legata alla questione della colpevolezza o della non colpevolezza di una persona, è semplicemente un atto di umanità da parte dello stato. Di conseguenza si può amnistiare, cioè farne cessare la prosecuzione giuridica, sia un condannato, sia un imputato, sia un accusato. E se, per esempio, le persone coinvolte nel "processo del pantano" saranno amnistiate in onore dei 20 anni della Costituzione, che si celebreranno a dicembre di quest'anno, li si potrà rimettere in libertà sia da una colonia penale, sia dall'aula di un tribunale, sia dagli arresti domiciliari.

Ma allora tocca far cessare anche il "caso del pantano", ma evidentemente nessuno intende prevedere tale scenario. Cioè, probabilmente il presidente ha parlato dell'amnistia per i "prigionieri di piazza Bolotnaja" in chiave astratta, di politica generale nell'ambito delle discussioni programmate, senza toccare la meccanica della loro reale liberazione già a dicembre.

Non di meno qualsiasi enunciato del presidente è un segnale. Abbiamo chiesto a degli esperti di decifrarlo.


Nikolaj SVANIDZE, membro del Consiglio per i diritti umani presso il presidente della Federazione Russa:

Putin ha detto che l'amnistia non è esclusa, come, per esempio, anche la sua ennesima presidenza. Non è escluso che io e lei diventeremo presidenti, teoricamente, è vero? E' una risposta assolutamente corretta e formale, che in generale non significa niente. 

Giuridicamente l'amnistia è possibile? Sì, è possibile. Beh, ecco tutto. Per ora questo per me significa una cosa sola: nel corso dell'incontro di Putin con i membri del Consiglio per i Diritti Umani il presidente non ha risposto alla domanda diretta sull'amnistia né a Sergej Pašin [9], né a Liza Glinka [10], né a me. Per di più non ha detto in generale nulla su questo tema. Penso che aspetterà la sentenza. Il suo stato d'animo è molto duro. E se per noi è un motivo per pensare, per il giudice è un'indicazione diretta.

Ma poi il presidente guarderà e penserà che fare con i condannati. E' quello che ho detto all'incontro con il presidente: che non ci furono disordini di massa, ma ci fu una ressa e il lavoro aggressivo della polizia – posso ripeterlo anche al processo.


Vjačeslav TETËKIN, deputato della Duma di Stato del gruppo del KPRF [11], coautore del disegno di legge sull'amnistia:

Mi sembra che il presidente non abbia alcun desiderio di esaminare la questione dell'amnistia. L'hanno costretto a rispondere, ma non ha mostrato il desiderio. Sulla situazione di Farber [12], per esempio, si espresse precisamente: "E' un caso scandaloso".
Non si dovrebbe trattare neanche di amnistia, ma di ristabilimento della giustizia. Infatti, parlando di amnistia, il presidente sottintende che quelle persone sono colpevoli. E questo è un qualche segnale ai giudici, come dire, il presidente non ha nulla da obiettare contro una sentenza di condanna.

Alla Duma di Stato possono discutere ciò che vogliono, ma tali sentenze vengono approvate all'amministrazione presidenziale. Cosicché la domanda è: l'amministrazione è pronta ad uscire dalla via repressiva?


Violetta VOLKOVA, avvocato di Sergej Udal'cov [13]:

Non bisogna dimenticare, per esempio, che Sergej Udal'cov è accusato non solo del "caso del 6 maggio", ma anche della preparazione di alcuni disordini dell'autunno 2012. E, per esempio, l'amnistia non potrà garantirgli la libertà, a lui come a Leonid Razvozžaev [14].

E delle ragazze del gruppo Pussy Riot possono anche dimenticarsi del tutto, infatti, formalmente, non è un caso politico, come non lo è neanche il caso Naval'nyj. L'amnistia potrebbe anche non riguardarli. Cioè gliela dovranno prescrivere singolarmente. E allora Daniil Konstantinov [15] e Taisija Osipova [16]? E molti altri?


Vadim KLJUGVANT, avvocato di Nikolaj Kavkazskij [17]:

Dal punto di vista giuridico non ci sono problemi tecnici, né di contenuto per amnistiare le persone coinvolte nel "caso del pantano". Ma solo se c'è una volontà reale. Ricordiamo la recente amnistia "economica". Anche allora ci furono molte discussioni, ma tutto si concluse essenzialmente con un nulla di fatto.

Come metodo per una più rapida liberazione l'amnistia si adatta del tutto. Ora c'è un compito primario: che le persone non stiano in carcere, dove sono per il secondo anno. E in seguito si deve comunque essenzialmente fare chiarezza e mettere tutti i puntini sulle "i": chi è in realtà colpevole e di cosa? Chi è il provocatore e chi la vittima di provocazione?

Marija BARONOVA, accusata di "appello a disordini di massa":

Saluto l'idea dell'amnistia, molte grazie a quei deputati, che già ad aprile presentarono questo disegno di legge. Dispiace molto che questo pensiero non abbia visitato il Consiglio di coordinamento dell'opposizione fino ad oggi. Negli ultimi tempi non credo a niente e perciò non posso dire se ci sarà o no l'amnistia, ma dal mio punto di vista l'amnistia è l'unica via per tutti per uscire da questa storia in modo minimamente degno. Ci siamo rivelati una carta di scambio per il Cremlino per punire delle persone a caso e poi mostrare che se si incarcerano delle persone a caso, i leader dell'opposizione, dietro a cui andavano quelle persone prese a caso, non le aiuteranno.

Autrice: Julija Poluchina


Indirizzo della pagina: http://www.novayagazeta.ru/inquests/60124.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] "Del Pantano" (che c'era prima della piazza), piazza del centro di Mosca.

[2] Otrjad Milicii Osobogo Naznačenija (Reparto di Polizia con Compiti Speciali), corpo speciale della polizia russa noto per la sua brutalità.

[3] "Piccolo di Pietra", ponte del centro di Mosca.

[4] "Grande di Pietra", ponte del centro di Mosca.

[5] Slogan un po' criptico. Di Putin è nota la passione per lo sci, Magadan (città dell'Estremo Oriente della Russia asiatica) è tristemente nota come luogo di deportazione.

[6] "Lavoratore d'assalto" (i cinema non devono essere stati tutti ribattezzati...).

[7] Città della Russia occidentale dove si svolge un forum internazionale sulla Russia.

[8] RPR sta per Respublikanskaja Partija Rossii (Partito Repubblicano di Russia) e PARNAS sta per PARtija NAcional'nogo Spasenija (Partito di Salvezza Nazionale) e per "Parnaso".

[9] Sergej Anatol'evič Pašin, magistrato.

[10] Elizaveta Petrovna Glinka, medico rianimatore e filantropo.

[11] Kommunističeskaja Partija Rossijskoj Federacii (Partito Comunista della Federazione Russa).

[12] La condanna per corruzione dello stimato direttore di una "Casa della Cultura" della provincia russa Il'ja Isaakovič Farber.

[13] Sergej Stanislavovič Udal'cov, leader dell'"Avanguardia della Gioventù Rossa".

[14] Leonid Michajlovič Razvozžaev, esponente dell'opposizione di sinistra che fu sequestrato da agenti russi a Kiev, dove voleva chiedere asilo politico.

[15] Daniil Il'ič Konstantinov, esponente dell'opposizione accusato di omicidio.

[16] Taisija Vital'evna Osipova, esponente dell'opposizione accusata di detenzione di stupefacenti.


[17] Nikolaj Jur'evič Kavkazskij, esponente dell'opposizione coinvolto nel "caso del pantano".