02 novembre 2013

La Russia ricorda le vittime delle repressioni politiche (passate e presenti)

Gli zeki [1] politici non sono scomparsi dalla Rus' [2]!

Il giorno della memoria delle vittime delle repressioni politiche in Russia prepara in modo simbolico la "festività professionale" dei lavoratori dei SIZO [3] e delle carceri che si celebra oggi. Tra l'altro le memorie degli anni tragici, quando nell'ambito del principio di "responsabilità collettiva" si distruggevano e deportavano interi popoli, classi e gruppi sociali, sono freschi come prima in Russia nel suo complesso e nel Caucaso in particolare. E ahimè, il termine "vittime di repressioni politiche", ora riguarda non solo chi ha sofferto, per dire convenzionalmente, in epoca sovietica.

Il giorno della memoria delle vittime delle repressioni politiche in Russia si è preso a festeggiare ufficialmente prima delle stessa caduta dell'URSS. Il Soviet Supremo della RSFSR [4] stabilì questa data nel 1991.

Allora fu approvata la legge "Sulla riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche" [5], nel cui preambolo si notava che "negli anni del potere sovietico milioni di persone furono vittime dell'abuso dello stato totalitario, furono sottoposti a repressioni per le loro convinzioni politiche e religiose, per caratteri sociali, etnici e di altro tipo".

In precedenza, dal 1974, la data del 30 ottobre era festeggiata non ufficialmente dai dissidenti come giorno del prigioniero politico dell'URSS, tra l'altro a quel tempo non si trattava tanto dei tempi di Stalin, quanto della situazione contemporanea. Ha ricordato questo in un colloquio con "Kavpolit" [6] il noto attivista per i diritti umani e direttore del programma di "Memorial" [7] "Contro la fabbricazione di procedimenti penali sull'estremismo islamico" Vitalij Ponomarëv.

"I prigionieri politici facevano scioperi della fame nei lager sovietici e negli anni della perestrojka tenevano azioni di strada (catene umane presso l'edificio del KGB con candele accese) e altro", – racconta.

Secondo l'attivista per i diritti umani, nella Russia contemporanea le autorità non riconoscono la presenza di repressioni politiche, facendo finta che questo termine si riferisca esclusivamente al passato sovietico.

"Si capisce che non è così. Ahimè, nel tempo presente si può stilare una lista molto ampia di vittime di repressioni: da Chodorkovskij, agli attivisti di "Greenpeace" e agli imputati del "caso del Pantano" [8] fino ai musulmani perseguitati per motivi inventati. Ieri a Mosca c'è stata una conferenza stampa, in cui i rappresentanti delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno divulgato una lista incompleta che comprende decine di nomi di prigionieri politici e dei criteri concordati da una serie di organizzazioni non governative di paesi post-sovietici e dell'Europa dell'Est", – ha notato Ponomarëv.

A suo dire, mette particolarmente in guardia l'idea della "responsabilità collettiva" di questo o quel gruppo della popolazione, che è incompatibile con le idee della democrazia e dello stato di diritto.

"Anche se la società è diventata di principio un'altra rispetto ai tempi del governo comunista, ora in Russia si notano tendenze pericolose, lo stato si mette sempre più sulla strada delle repressioni politiche, la situazione peggiora precipitosamente e letteralmente a vista d'occhio. E comunque ogni tempo ha il suo specifico, difficilmente ci si poteva attendere un prestito diretto dei metodi di epoca staliniana", – riassume Vitalij Ponomarëv.

Con l'esperto di "Memorial" di Mosca è d'accordo il suo collega dell'Inguscezia, il capo dell'organizzazione per la difesa dei diritti umani "MAŠR" [9] Magomed Mucol'gov.

"Certo, il giorno della memoria delle vittime delle repressioni politiche non viene dimenticato e non dev'essere dimenticato da tutti gli abitanti della Russia. Noi ingusci, come noto, fummo tutti esiliati nel 1944. Mio padre rimase orfano. Al tempo dell'esilio perse non solo i genitori, ma anche le sorelle. In tutto il mio popolo perse fino al 40% del suo numero. Così in non piccolo grado soffrirono anche altri popoli dell'URSS di allora. Una cosa del genere non si dimentica e dobbiamo ricordarla, – ritiene. – Tuttavia, anche applicato all'attuale situazione in Russia il termine "repressioni politiche", purtroppo, conserva la sua attualità. Sì, le attuali repressioni non sono così massicce, grazie a Dio. Ora non è il '37 e non è il '44. Ma, non di meno, vediamo che la persecuzione delle persone che non sono d'accordo, che sono all'opposizione ha luogo nel paese. Molti giornalisti, attivisti della società civile e oppositori politici del potere hanno sofferto per la loro attività. E chi nega la presenza di repressioni politiche è un ipocrita e un bugiardo. Con vari pretesti mettono la gente in carcere, la infornano nei manicomi. Qualcuno è costretto a fuggire, ma qualcun altro viene perfino ucciso".

Secondo Mucol'gov, casi di persecuzione di questo genere si riflettono negativamente sull'immagine della Russia.

"Tra l'altro non mi interessa molto il paragone con altri stati, dove, secondo l'opinione di qualcuno, la situazione dei diritti umani è peggiore che in Russia. Infatti noi viviamo qui e ci agita la situazione in Russia, in Inguscezia. E questa non è la migliore", – ha sottolineato l'attivista per i diritti umani inguscio.

Allo stesso tempo un attivista sociale balcaro, l'ex capo del villaggio di Bezengi [10] Muradin Racahev, pensa che nella Russia contemporanea non si verificheranno quelle repressioni massicce che ci furono nell'Unione Sovietica staliniana.

"Anche se le persecuzioni politiche a livello locale ci sono. Nel Caucaso compiono questo genere di repressione i "baroni" locali, corrotti dalla strutture di potere", – ha notato.

Come ritiene Rachaev, nel ricordare le vittime delle repressioni politiche e le deportazioni è più importante la questione se siano state liquidate le conseguenze di quei drammatici avvenimenti.

"Noi balcari siamo stati privati di parte delle nostre terre, che non ci hanno restituito fino al momento presente. Non è stata ristabilita una serie di unità amministrative e di villaggi. Lo stato russo, in tal modo, non ha potuto finora risolvere alcuni problemi urgenti per noi, le cui radici risalgono agli anni dell'esilio del nostro popolo", – ha chiarito Rachaev.

Per la nota attivista per i diritti umani cecena Cheda Saratova il giorno della memoria delle vittime delle repressioni politiche è legato in primo luogo ai ricordi della tragedia del suo popolo e della sua famiglia. Tra l'altro non solo dei tempi della deportazione e dell'esilio, ma anche del periodo delle due "campagne cecene".
"Noi ceceni viviamo dei ricordi delle repressioni e della deportazione. Prima dell'inizio delle due guerre cecene degli ultimi due decenni questo avvenimento era la nostra più grande disgrazia. Sia mio padre, sia la mamma ce lo raccontavano spesso", – dice.

"La mia mamma il giorno prima della deportazione era stata mandata dalla sua mamma, mia nonna, dai parenti nel villaggio vicino. Questa scena struggente di lei rimasta a sedere sulla panchina davanti alla casa nativa di sua madre, con cui non era destinata a incontrarsi, si è stampata per sempre nella sua memoria. Sono morti tutti e due i genitori della mamma, lo stesso per mio padre.

Quando iniziò la guerra, io, guardando mio padre, capii che questi si trovava continuamente in un'orribile attesa: non si ripeterà di nuovo quella tragedia per noi?", – racconta con voce tremante Cheda Saratova.

A quanto questa nota, la tragedia contemporanea dei vainachi [11] si è rivelata più terribile della precedente.
"I bombardamenti in cui si distruggeva intenzionalmente la popolazione civile hanno fatto di mio padre, un uomo adulto sano una persona di nuovo preso da paure infantili", – ha raccontato l'attivista per i diritti umani cecena.

"La guerra, anche se in altra forma, nel Caucaso continua. Come prima migliaia e migliaia di profughi non possono tornare nei luoghi nativi, che hanno lasciato a causa delle azioni militari degli anni '90 e 2000. E parte di quelli che sono tornati è costretta a fuggire di nuovo per via di diversi problemi nella regione", – ha sottolineato Cheda Saratova.

Rustam Džalilov, "Kavkazskaja politika", 31 ottobre 2013, http://kavpolit.com/ne-perevelis-eshhe-politzeki-na-rusi/ (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Zeki erano detti in gergo i prigionieri del GULag.
[2] Rus' è l'antico nome della Russia.
[3] Sledstvennye IZOljatory (Isolatori di Custodia Cautelare).
[4] Rossijskaja Sovetskaja Federativnaja Socialističeskaja Respublika (Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa).
[5] Le leggi russe sono indicate con il titolo.
[6] "KAVkazskaja POLITika", il giornale che ha pubblicato questo articolo.
[7] "Memoriale", associazione nata per difendere la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche e ancora attiva sul fronte dei diritti umani.
[8] Le persone arrestate dopo la manifestazione dell'opposizione del 6 maggio 2012 in piazza Bolotnaja ("del Pantano", quello che c'era un tempo).
[9] "Pace" in inguscio.
[10] Villaggio della Kabardino-Balkaria centrale.
[11] Popolo da cui trarrebbero origine Ceceni e Ingusci.


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